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LA ZERIBA
   
   

 

 

 

 

 

 

 

 

In anni più recenti le ricerche archeologiche hanno avuto momenti di grande difficoltá, a causa della situazione di guerra civile che ha imperversato per anni sul massiccio vulcanico a partire dall'invasione libica della “striscia di Auozou”. Ciò premesso, si sono comunque ottenuti risultati molto interessanti quando è stato possibile organizzare delle spedizioni di ricerca.

 

Sulle datazioni dei rupestri avremo modo di tornare in seguito. Per questi ultimi, infatti, bisognerà procedere come è accaduto per altre regioni sahariane: per analogia e confronto, piuttosto che per dati di scavo, poiché nel Tibesti non esiste “contiguitá” tra il reperto e in questo caso la pittura o l'incisione rupestre) e lo strato di deposito, che fornisce gli elementi si cui è possibile procedere alla datazione.

 

La scoperta, invece, di materiali ceramici negli strati di deposito di una grotta nel nord del Tibesti, Gabrong, fatta dal geomorfologo tedesco Baldur Gabriel e pubblicata nel 1972, portò a modificare la teoria della diffusione della cosiddetta ceramica per linee a onda e punteggiate (“dotted way line”) sulla direttrice est-ovest, a partire dall'Egitto, propostala Anthony J. Arkell, dopo il rinvenimento in area neolitica  (Khartoum, Esh Shaheinab) di reperti databili al 3490 a.C. Le tessere di ceramica scoperte dal Gabriel sono state datate invece intorno al 6100 a.C.

 

Nuovi depositi di ceramica

 

Successivamente, in regioni adiacenti al Tibesti, sono stati rinvenuti nuovi depositi di ceramica che hanno confermato quanto sopra detto. Barbara Barich, a Ri-n-Torha (Tadrart Acacus),ha scoperto ceramica dotted way line databile attorno al 6600 a.C. mentre in un anfratto roccioso del Tagalagal (Air), sulle cui pareti era una pittura antropomorfa. Jean-Pierre Roset ha rinvenuto, in strati di deposito risalenti al 7200 a.C., circa, altri reperti della serie indicata da Arkell.

 

I risultati degli studi sulle vestigia umane, animali e vegetali vengono però spesso complicati dal ritrovamento di oggetti la cui presenza desta interrogativi e la cui coesistenza o riutilizzazione non è stata ancora spiegata o ben giustificata. Ció ovviamente solleva incertezze e complica non poco il quadro d'interpretazione delle tipologie di riferimento di certe aree culturali arretrate e di scarsi contatti con regioni più avanzate e sviluppate.

 

Il Tibesti non si sottrae a questo “rimescolamento delle carte”. Ad esempio, ceramica dotted way line (ottenuta mediante l'utilizzo di pettini) è stata rinvenuta in insediamenti Sao, confinanti a sud con il Tibesti. Ne consegue che tale tipo di ceramica era ancora in uso presso popolazioni pre-islamiche d´epoca protostorica (III-VII sec. D.C) vale a dire molto vicine a noi. Analogamente, i pebble tools (industria su ciottolo) di Sherda (Tibesti occidentale), che lo studioso francese Marcel Dalloni negli anni trenta identificava come oggetti paleolitici appartenenti al “Prechelleano) (30.000 e più anni da noi si tratta di industrie che precedono la realizzazione degli strumenti bifacciali) sembrano essere invece coevi di materiali d´epoca neolitica, (6000-2500 a.C.), ossia ben piú recenti. Inoltre, la maggioranza degli arpioni in rosso del Borkou sono riferibili all´etá del Ferro (III seconolo a.C.-IV secolo d.C.). E cosí via..

 

 

Allo steso modo, sembra che vi siano elementi di contraddizione su chi fossero realmente gli antichi abitatori della regione, per intenderci gli “Etiopi” di Erodoto e di Tolomeo. Infatti, nel settore settentrionale del Tibesti, quello che fa perno attorno al sistema delle stazioni rupestri di Gonoa e di cui la grotta di Gabrong è parte integrante, il Gabriel ha rinvenuto in uno stesso strato di deposito due scheletri riferibili al Neolitico antico ma appartenenti a diversi tipi di popolazione. I primi resti si riferiscono a popolazioni negroidi, che potrebbero essere le tribù tebbou, stanzilai e sedentarie nel nord del massiccio; il secondo a genti non-negroidi, riferibili a cacciatori nomadi transumanti negli enneri (fiumi fossili) che immettono al Tibesti.

 

 

Il quadro eco-ambientale

 

Per una migliore conoscenza dell´evoluzione ambientale della regione merita infine accennare alle correlazioni esistenti tra i documenti di carattere rupestre e archeologico ed il quadro eco-ambientale. Ricerche palinologiche mostrano, ad esempio, la presenza di forme di flora di specie temperata nel Neolitico antico. Ció fa supporre l´esistenza di un regime di piogge cinque, dieci e anche venti volte superiore alla media attuale, che è di 20 mm nelle zone piane e di 120 mm sulle vette.

 

Ció starebbe ad indicare che il clima del Tibesti ha subito evoluzioni contenute dal Neolitico antico fino a più o meno la metá del I millennio a.C., epoca in cui il clima avrebbe avuto quella brusca evoluzione e accelerazione del processo di desertificazione di cui soffre ancora oggi. Tale osservazione è corroborata dal ritrovamento di un femore d´elefante (animale che evolve in regimi semi-aridi e di savana, ma non desertici), che risale al 720 a.C., nella regione di Bardai.

 

Pur essendo una tipica area sahariana, il Tibesti presenta condizioni ambientali e culturali diverse da regioni come il Téneré e l´Air ad est e il Tassili n´Ajjers ed il Tadrart a nord est, mentre è simile al Fezzan nella parte piú rocciosa. Il Tibesti è il piú vasto massiccio montuoso del Sahara e con numerose cime supera i 3000 m d´altezza (Emi Koussi 3415 m, Tarso Emissi 3376 m, Pic Toussidé 3265 m). Si tratta di un enorme apparato lavico di origine tardo-mesozoica, formatosi 70 milioni di anni fa.

 

La cronologia del generale Huard  

 

L´unico che fino ad oggi si sia avventurato nello studio di una cronologia di base per l´arte rupestre del Tibesti è stato lo studioso francese gen. Paul Huard, il quale ha proposto una sequenza che fa perno su un sistema denominato “arte dei cacciatori e dei pastori” nella fase cosiddetta “pastorale”, da lui suddivisa in tre periodi (antico, medio e tardo). A queste fasi “pastorali” farebbero seguito le fasi più recenti dell´arte sahariana, del cavallo e del cammello, mentre sarebbero precedute da una fase arcaica (10.000-6000 a.C.). Quest´ultima riprodurrebbe gli sviluppi caratteristici del Fezzan, anche se manca quasi del tutto l´elemento di riferimento del bufalo dalle grandi corna (il bubalus antiquus, esistito giá in epoca protostorica). L´assenza del bubalus è d´altro canto comprensibile a causa della conformazione geo-morfologica e vulcanica del terreno e della scarsitá dei corsi d´acqua. L´animale più rappresentato dagli antichi abitatori della regione è invece l´elefante (a Gonoa sono stati contati ad esempio non meno di 34 esemplari).

 

Nella fase pastorale antica (6000-4000 a.C.) fanno la loro apparizione nei disegni rupestri i “cacciatori-pastori”, associati ancora con una fauna di grandi dimensioni (elefanti, rinoceronti), che può essere a sua volta accompagnata da motivi di carattere rituale e magico-religioso (spirali ed altri segni). Si accentua la presenza dei bovidi, rappresentati dapprima in elementi singoli e poi sempre più spesso in mandrie.

 

Elementi di memoria

 

La successiva fase pastorale media (40000-2800 a.C.) vede la progressiva e accentuata scomparsa degli animali di grandi dimensioni (anche se vengono ancora proposte le riproduzioni degli elefanti, probabilmente piú come un elemento di memoria che non di realtá) e lo sviluppo di unitá di fauna di media e piccola dimensione come giraffe, antilopi e struzzi.

 

Con la fase pastorale tarda recente (2800-1500 a.C.) giungiamo alla schematizzazione degli elementi di piccola fauna, che preannunciano la comparsa del cavallo (raffigurazione peraltro abbastanza rara in questa regione per le difficoltá dell´habitat) e quella, successiva, del cammello.

 

I disegni rupestri del Tibesti sono prevalentemente incisioni. Le pitture sono assai rare e si trovano essenzialmente nei massicci esterni di raccordo, che bordeggiano la regione vulcanica a sud, ad occidente e verso le grandi distese sabbiose della Libia.

 

 

 

Nel Tibesti meridionale, le stazioni sono limitate nel numero. A parte una bella scena di caccia alla giraffa (Guehessen) ed un pachiderma con le zampe posteriori legate e spirali nel ventre (Kla Ouenama), la stazione più importante é quella di Ehi Atroun, situata in una sorta di abside di cattedrale in un pan di zucchero solitario che si vede emergere piano piano dalle sabbie a molte decine di chilometri di distanza. L´elemento di maggiore interesse è un grande leopardo. Che si tratti di un felino non sembra dubbio, per il corpo slanciato ed il treno posteriore da grande predatore abile alla corsa; il muso ha lasciato tuttavia perplessi alcuni studiosi perché smussato, mentre le orecchie sono arrotondate. All´interno del grande felino (lungo 85 cm) gli ignori artisti della preistoria hanno inciso dei guerrieri.

 

Il sito del pilota

 

Procedendo verso nord-ovest, si incontra in pieno deserto il sito denominato Mokto (nome della topografia locale, anche noto come Sito Voirin in onore del pilota di elicotteri della missione Berliet-Tchad del 1960, che lo avvistó per primo); Henry J.Hugot lo classifica come una “necropoli garamantica”. Il sito, un esempio forse unico in tutto il Sahara, ha molto sofferto per la guerra poiché i libici, quando hanno occupato militarmente la regione, hanno costruito nelle sue immediate vicinanze una pista d´atterraggio per i loro aerei ad ala fissa con le connesse infrastrutture, accampamenti e posti di guardia. Le grandi pietre che formavano le tombe (non scavate) sono state abbattute, molte sono state divelte e giacciono sparse sul terreno, spezzate dalle barbarie dell´ignoranza.

 

Se in un enneri (fiume fossile) laterale del Zouarké sono state ritrovate, nei pressi di una guelta, le incisioni rupestri di bovidi e di guerrieri con arco segnalate da Raymond Mauny nel corso della stessa spedizione Berliet, per contro sembrano essere sconosciute le incisione (specie i motivi spiraliformi) individuati sui lastroni di pietra arenaria ai bordi di una delle grandi meraviglie della natura, il Trou au Patron, il cratere di oltre 6 Km di diametro ai bordi del Pic Toussidé.

 

La visita delle principali stazioni sulla direttrice Oudingueur-Bardai ha rivelato che soprattutto il primo sito ha molto sofferto per la guerra per il fatto che la pista d´ accesso al Tibesti passa proprio nei pressi di questa stazione. I soldati di uno o dell´altro campo, oltre a sparare sui graffiti, hanno voluto lasciare incisi i propri nomi e le date del loro passaggio sulla roccia scura.

 

Centro di diffusione

 

Gonoa è, secondo il generale Huard, il centro di diffusione e di irradiazione della “arte dei cacciatori e dei pastori”. Nel corso della ricognizione sono state esaminate le incisioni di grande fauna (oltre ai 34 elefanti di cui si è detto, è stato avvistato un ippopotamo e ben 13 rinoceronti) databili tra la metá del VI e del IV millennio a.C.. Le tecniche d´incisione su pietra non sembrano essere molto dissimili da quelle del Fezzan libico. L´intera falesia di Gonoa è tappezzata di incisioni di mandrie di buoi al pascolo e, sulle pietre basse, di elefanti di tutte le dimensioni, sviluppati con varie tecniche, con il picchettaggio o in negativo con l´asportazione della roccia, oppure tracciando i soli contorni, ora con tratti profondi e levigati, ora con tratti sottili.

 

La stazione va famosa per la raffigurazione dell´”uomo di Gonoa”, forse l´esempio più perfetto dell´arte del Tibesti. Si tratta di un guerriero in movimento, nudo, presentato con il sesso al naturale (come nelle raffigurazioni di tipo etrusco, un dettagli non molto comune poiché le figure maschili dell´iconografia sahariana sono in genere asessuate o itifalliche). Il personaggio porta  una maschera a casco che gli nasconde il volto ed è armato di una clava, che tiene appoggiata all´omero. Anche su di lui la guerra ha lasciato le sue tracce nefaste, non segni  di armi da fuoco ma del vandalismo e dell´ignoranza dell´uomo, che ha martellato gli organi genitali e voluto sodomizzare il personaggio

 

Tra i rupestri meritano particolare attenzione due splendide giraffe. Oltre alla levigatura del muso degli animali, particolarmente ben rifiniti, molto riuscita è anche la lavorazione del corpo (ottenuta tracciando un fitto reticolato che riprende in senso marcatamente naturalistico le chiazzature del pelame) e delle criniere, incise con accurato dettaglio.

 

La stazione di Gira Gira è composta di due parti, tra loro separate da circa mezzo chilometro. Tra gli elementi piú caratteristici figurano un elefante picchettato, che potrebbe risalire alla fase antica, con un omino davanti ad un fitto reticolo di altri segni di non facile interpretazione; un altro pachiderma di grandi dimensioni è realizzato in bello stile naturalistico con le pieghe della proboscide ben evidenziate (la patina del tratto si stempera con quella della roccia il che lo riconduce alla fase arcaica); una sequenza di giraffe degli arti filiformi, in cui cinque elementi sono perfettamente disegnati accanto a molti animali appena abbozzati. In un successivo momento l´artista di Gira Gira ha tracciato sulla mandria di giraffe un grande bue, con le corna in avanti.

 

Il blu in negativo

 

La stazione occidentale possiede incisioni abbastanza recenti: un grande bue in negativo, un bel cervide e una serie di mufloni dalle corna ritorte. Piú antichi invece due grandi buoi dalle ampie corna lunate e una figura umana con la testa rotonda, realizzata con tratto sottile. Anche Bardai ha sofferto per la guerra dopo essere stata occupata da parte delle truppe libiche. Di particolare interesse è l´incisione rupestre di una sequenza di guerrieri itifallici con piume sul capo, che tengono nella sinistra un bastone ricurvo (da lancio?) e che sembrano danzare sopra alcuni buoi dalle corna in avanti.

 

Le ultime scoperte

 

Nel corso della spedizione nel Ribesti è stato possibile rilevare alcune nuove stazioni d´arte rupestre. Di particolare interesse per le pitture sono risultate le stazioni identificate nell´Enneri Tougoi dall´occhio infallibile dal tuareg Tanko, un giovane cammelliere nativo di Timia nell´Air, entrato a far parte del gruppo di Piero Ravá, un appassionato conoscitore di luoghi e di carovaniere sahariane. Le due stazioni si trovano a poca distanza luna dall´altra in anfratti a metá costa di una falesia il cui accesso è abbastanza ardito, specie per la seconda, peró piú difficile da individuare. Grazie all´uso di strumenti satellitari è stato possibile fissare le coordinate delle due nuove stazioni di pitture dell´Enneri Tougoi (19°30’N – 17°53’E). Va ricordato che nella zona vi sono innumerevoli graffiti di giraffe, buoi, struzzi e cammelli, di varie epoche e stili; ma si ignorava l´esistenza di pitture.

 

Il balzo del levriero

 

Il primo sito possiede belle raffigurazioni in ocra rossa e bianca raffiguranti, tra l´altro, un cacciatore armato d´arco a due curve con due cani sloghi (sorta di levrieri del deserto), di cui uno molto bello colto mentre si lancia in un balzo all´inseguimento di un muflone dalle grandi corna, anch´esso in corsa. Accanto a numerose raffigurazioni di bovidi (di cui alcuni pezzati di bianco) è una figura femminile con una lunga gonna, in piedi davanti a quello che sembra essere un deposito a copertura tonda per granaglie, sollevato sul terreno. Nella parte bassa della parete è una mandria di buoi pezzati, alcuni dei quali sono dipinti sopra a figura antropomorfe con testa a fagiolo e penna, assai simili alle figure di guerrieri del Fezzan.

 

La stazione espone anche buoi bianchi di fattura meno raffinata, il cui pelame è evidenziato da un rozzo reticolato bianco. Accanto agli animali sono dei pastori che conducono la mandria al pascolo, tra cui un piccolo personaggio in ocra rossa che sembra afferrare un animale per la coda.

 

Vi sono poi due personaggi in ocra rossa, di cui uno seduto, con una pelle bianca che scende dall´omero sinistro. Il personaggio in piedi ha, oltre alla cappa, una cintura e delle strisce di cuoio bianco ai polpacci. Accanto a questi due personaggi ve ne sono altri in movimento, che sembrano accennare a dei passi di danza.

 

Pastori con mantello bianco

 

Interessanti anche due figurine, una in piedi e l´altra seduta con le gambe divaricate: probabilmente in epoca posteriore gli organi sessuali dei due personaggi sono stati tra loro uniti da un tratto di ocra rossa piú scura. Sulla stessa parete sono poi altri pastori, anch´essi con un mantello bianco, che seguono al pascolo una mandria di buoi pezzati.

 

La seconda stazione, che dista qualche centinaio di metri dalla prima, possiede un guerriero in ocra chiara ripreso di fronte (con le braccia accostate ai fianchi e le dita delle mani segnate in modo alquanto rozzo),, che reca nella sinistra una lancia dalla punta larga e molto pronunciata. In ocra rossa sono invece tre figure antropomorfe attorno ad un bovino dalle lunghe corna. Il posizionamento delle figure è alquanto bizzarro. Davanti all´animale sta seduto un personaggio con le gambe leggermente piegate e divaricate, mentre gli altri due sembrano stare uno sopra e l´altro sotto il muso dell´animale. La figura di sopra, incompleta, sembra puntare una lancia o un lungo bastone al petto dell´uomo steso a terra. La rappresentazione pittorica potrebbe essere interpretata come una scena di abigeato, in cui il ladro sia stato colto sul fatto dai legittimi proprietari.

 

All´interno dell´anfratto, sulla parete di sinistra, è una sequenza di arcieri che sovrastala scena centrale dell´affresco, composta da una coppia di grandi personaggi con testa a palla, che si tiene per mano. La figura più imponente è sicuramente femminile e rappresenta probabilmente una donna di rango. La testa tonda, senza tratti facciali, ha una pettinatura molto elaborata con peduncoli a raggera finemente lavorati. Il busto è triangolare, molto stretto in vita, e accentua l´abbondanza delle natiche, coperte da una gonna che scende fino a terra. L´altra figura veste, invece, una gonna fino a metà polpaccio.

 

Un villaggio neolitico

 

Abbastanza vicino ai siti descritti, oltrepassato uno sperone di roccia e superata un´erta mista di sabbia e roccia, ben dentro al massiccio, è stato scoperto quello che sembra un vero e proprio villaggio neolitico, dove sono ancora in piedi – per circa 1 metro d´altezza, alcune strutture ancora complete dell´architrave della porta d´accesso – le basi di undici capanne tonde. Sulle pareti di roccia prospicienti compaiono incisioni raffiguranti buoi con le corna in avanti, un uomo a cavallo e tre arcieri di fattura più recente (picchettati e di patina chiara), di cui due si affrontano ed il terzo sembra in attesa, pronto ad intervenire.

 

Nella stessa regione di Enneri Tougoui è stata rinvenuta anche una nuova stazione nella localitá Aneda (20°01’N – 18°09’E), che mostra giraffe antiche  accanto ad altre più recenti, cammelli e una bella coppia di buoi dalle corna lunate e di solco ampio, di patina antica e di eccellente fattura, le cui figure si intrecciano una nell´altra.

 

Tra le scoperte di un certo rilievo merita ancora riportare il rinvenimento di alcuni manufatti in una sella tra dune e rocce (18°55’ N- 17°39’N): oltre a due esemplari di “ascia a gola”, di cui una eccezionale di tipo tenereano, è stata trovata anche una moneta in bronzo (probabilmente romana e attualmente allo studio). V´è inoltre un sito che poteva essere un antico luogo di culto, trovandosi su un piccolo pianoro roccioso del Tassili Siniga, lasciata alle spalle la pista per Zouar all´altezza della Balise Leclerc 455. Sul pianoro sonos tate contate nove tombe preislamiche di diversa dimensione, realizzate con grandi lastroni di pietra infissi verticalmente nel terreno, ed una a forma di bazina (tomba cilindrica di etá preislamica). Su alcune rocce orizzontali ai bordi della falesia sono state rinvenute una gran quantitá di macine scavate nell´arenaria per sminuzzare minerali e alcune incisioni, tra cui numerose spirali e un cacciatore che insegue un cervo, risalenti al periodo dei cacciatori antico.

 

Infine, non è stato possibile effettuare la ricognizione programmata anche alle stazioni di Aouzou (spirali e motivi serpentiformi),Taar Doi (spirali e incisioni curvilinee), Ehi Barou (pitture arcaiche), nella fascia di territorio ancora non evacuata dalle truppe libiche, e ad altre stazioni del Ribesti per il pericolo connesso con le mine. Oggi, infatti, l´accesso degli stranieri nella regione è stato nuovamente interdetto, dopo che un secondo fuori-strada è saltato su una mina causando un morto.

 

 

 

Charles de Foucauld

 

Charles de Foucauld nasce a Strasburgo nel 1858. Rimasto orfano viene adottato dal nonno materno del quale seguirà la carriera militare.

Tenente dell'esercito francese di stanza in Algeria, nel 1885, terminata la campagna militare si dimette dall’esercito e rimane in Africa perché ne è attratto e perché gli permette di dedicarsi alle ricerche etnografiche del Sahara. È proprio al deserto d’Algeria, allo studio delle tradizioni e costumi tuareg (ne imparerà la lingua), che dedica una parte della sua vita.  Però de Foucauld è anche un uomo alla ricerca di Dio.

"Per dodici anni, ho vissuto senza alcuna fede: nulla mi pareva sufficientemente provato. L'identica fede con cui venivano seguite religioni tanto diverse mi appariva come la condanna di ogni fede.. Per dodici anni rimasi senza nulla negare e nulla credere, disperando ormai della verità, e non credendo più nemmeno in Dio, sembrandomi ogni prova oltremodo poco evidente".

Nel 1901 è ordinato sacerdote e il 28 ottobre dello stesso anno fissa la sua residenza a Bénis-Abbès (Algeria), dove costruisce un eremo per fondare una fraternita dove le sue meditazioni e i suoi ritiri diventeranno silenzi e scritti per dar modo alle popolazioni del Sahara di conoscere direttamente le verità cristiane. Sensibilizza le Autorità sul dramma della schiavitù e riesce ad affrancare parecchi schiavi 

Nel 1905 si trasferisce a Tamanrasset e lì costruisce un piccolo romitorio; farà altrettanto nel 1910 cin la costruzione di un eremo nell'Aschrem, sull'Hoggar, in difesa dei tuareg. Fu proprio nel 1907 che Charles de Foucauld inizia un grandissimo lavoro scientifico sui canti, poesie e proverbi degli “uomini blu”.

“continuare nel Sahara la vita nascosta di Gesù a Nazareth, non per predicare, ma per servire nella solitudine la povertà e l’umile lavoro di Gesù”

Esausto, Charles, si ammala e saranno proprio i tuareg che lo salveranno dividendo con loro il poco latte di capra in un periodo di siccità. Solo allora, capisce che l’amicizia e l’amore tra fratelli passa attraverso lo scambio e la reciprocità.

“Il mio apostolato deve essere l’apostolato della bontà. Vedendomi la gente deve dire: poiché quest’uomo è buono…la sua religione deve essere buona”

Nel 1914 scoppia la guerra in Francia e anche nel deserto la situazione non era tanto tranquilla per la presenza di razziatori marocchini e minacce dei Senussi libici che scorazzavano liberamente per l’assenza dei soldati francesi richiamati al fronte europeo. 

La vita di padre de Foucauld si conclude tragicamente il 1° dicembre 1916 quando un gruppo di tuareg, comandati da alcuni Senussi lo catturano e lo legano. Forse, si sarebbe potuto salvare se, nel tentativo di avvertire due ignari meharisti francesi, non si fosse messo a gridare del pericolo che stavano correndo.

Per se aveva voluto “povertà, abiezione, umiliazione, abbandono, persecuzione e sofferenza” che lo avevano convinto di quanto povera fosse la vita dell’uomo e quanto era stato conquistato dalla nuda bellezza del deserto che lo aveva aiutato ad avvicinarsi a Dio.

 

 

Popoli del Sahara

 

 

Sahara in lingua araba significa “Nulla” ma il padre di tutti i deserti non è affatto un luogo disabitato perché molti popoli sahariani vivono tra le sue sabbie; gente abituata a convivere con l’asprezza dell’ambiente e alla perenne ricerca di oasi e fonti d’acqua. Come diceva il filosofo Filone di Alessandria “la sapienza è amica del deserto” e ancora adesso i tuareg insegnano che il deserto fu dato da Dio agli uomini affinché vi trovassero la loro anima.

 

Oltre ai paesi nord africani le cui etnie sono arabe e berbere, nel Sahara vivono altre etnie poco conosciute che ancora oggi hanno un ruolo determinante nella comunità sahariana.

 

I Bambara

 

Originari del Sudan oggi sono concentrati nella parte meridionale del Mali (tra Segou e Niono) ma anche in Guinea, Burkina Faso e Senegal. si occupano del governo,  dell’agricoltura e della vita culturale del Paese. La loro lingua è il “mande” e sono degli abili artigiani di maschere in legno, tipiche della loro tradizione.

 

 

La scrittura è stata introdotta quando la regione era sotto il dominio coloniale francese e di conseguenza, a causa della predominanza del francese come " lingua d' élite", la letteratura in lingua bambara si sviluppa lentamente. Esiste, tuttavia,  una tradizione orale vivente, fatta di storie e di racconti trasmessa dai narratori e dai cantanti che hanno studiato l'arte del canto e del racconto il cui tema riguarda la storia  del vecchio Impero del Mali.

 

I Mauri

 

Abili artigiani, i Mauri sono un popolo nomade che gravita tra il Marocco meridionale e la Mauritania. Come i tuareg sono detti “uomini blu” per  via del colore indaco dei loro abiti che, in quanto tintura “naturale” (e non chimica), per  effetto della calura si trasferisce sulla pelle dando quell’aspetto bluastro. I mauri sono di fede islamica e la loro cultura ha assorbito alcuni elementi presenti nelle culture dell’Africa nera.

 

 

 

I Dogon

Quella dei Dogon è una delle oltre venti etnie africane che popolano il Mali; attualmente non arrivano alle 300.000 unità dichiarate dalle informazioni ufficiali, a causa della micro-emigrazione interna dei giovani; abitano una terra arida ed assolata a sud della grande ansa del Niger, al confine del Burkina Faso. I loro villaggi sono disseminati sulla sommità ed ai piedi della falesia di Bandiagara. Essi si rifugiarono in questa zona inospitale per sfuggire all’espansionismo dei grandi imperi islamici medievali costituitisi sulle sponde del Niger. Grazie all'inaccessibilità del loro territorio riuscirono nel corso dei secoli a non essere influenzati dall'islam prima e dal colonialismo europeo poi, conservando la religione animista e le antiche tradizioni. I Dogon hanno costruito poveri villaggi di fango e paglia, collegati fra loro da aeree scalette di legno e vertiginosi sentieri.

Sono rimasti lontani dalle civiltà tecnologicamente avanzate, e pur non avendo avuto contatti storici documentabili con altre società umane (salvo che nel periodo degli esploratori), vivono secondo un complesso sistema sociale ben organizzato. L'economia e' di mera sussistenza, basata principalmente sull'agricoltura e solo in parte su caccia, pesca e allevamento (capre, pecore ed asini).

Nei villaggi il lavoro e' rigorosamente definito dai ruoli sociali dell'uomo e della donna: l'agricoltura e' una occupazione sia maschile che femminile, mentre soltanto gli uomini cacciano, pescano, si occupano del bestiame, intrecciano canestri e tessono cotone.

La tessitura e' un'arte sacra riservata a pochi; considerata la prima arte insegnata all'umanità, simboleggia la combinazione degli opposti: il maschile e il femminile, la terra e l'acqua.

I Dogon hanno rinomate abilità artistiche, ereditate dai Tellem, popolazione che visse nella stessa regione molti secoli prima di loro. Esse consistono nella colorazione dei tessuti e nell'intaglio del legno, in special modo per le maschere rituali e le porte delle loro abitazioni.

 

Una caratteristica presente in questo popolo, che lo distingue dalle altre etnie, consiste nel fatto che gli anziani hanno complesse cognizioni astro-cosmogoniche incredibilmente precise e dettagliate. Il primo contatto tra i Dogon e la cosiddetta civiltà risale al 1907 e a partire dal 1931 molti studiosi ritengono che il sapere iniziatico dei Dogon derivi da un retaggio culturale antico migliaia di anni e il fatto che gran parte di tale esperienza sia di carattere scientifico, indurrebbe a pensare che in epoche remote gli antenati dei dogon abbiano interagito con una civiltà molto più evoluta e tecnologicamente più avanzata.

Questi misteri hanno contribuito ad aumentare il fascino di questo popolo che ha saputo creare una visione dell'universo così ricca e complessa da fare invidia a qualsiasi altra religione.

 

Tuareg

Un tempo feroci predoni, oggi vivono di pastorizia praticata dai loro servi.

Questa tribù è di razza bereber con abbondante meticciato con i neri sudanesi. Il loro habitat tradizionale comprende vaste aree del sud algerino e libico, l’ovest del Niger, il nord del Burkina Faso e l’est del Mali.

Nel XV secolo si convertirono alla fede musulmana, anche se con influenze animistiche; hanno sviluppato una cultura nomade basata nella pastorizia e nel commercio, soprattutto quello del sale, oggetto di baratto con tè, zucchero, stoffe e stuoie, però non sono mai stati una forma di entità politica centralizzata. Fino al XIX secolo i tuareg non conoscevano le frontiere nazionali e sviluppavano la loro attività commerciale liberamente nell'immensa regione sahariana perché erano commercianti e allevatori di bestiame transumanti; gli unici capaci di passare il deserto mettendo in contatto i vari mercati del Sahel africano con le città arabe del Mediterraneo.

Il nucleo minimo d'organizzazione sociale dei tuareg è l'accampamento, composto di solito da circa cinque o sei famiglie. La sezione raggruppa tra 10 e 20 accampamenti. Il grado maggiore d'organizzazione è la confederazione, che unisce varie sezioni sotto la direzione d'una leadership.

L'ordinamento sociale dei Tuareg si basa sulla distinzione di quattro classi: i nobili, i vassalli, i servi e gli operai. I nobili costituiscono la classe più pura, mentre gli operai, specialmente i fabbri, sono disprezzati perchè considerati amici del "diavolo".

Le donne tuareg sono molto libere e di forte tradizione matriarcale. A differenza degli uomini, loro hanno il volto scoperto e ritardano il matrimonio per mantenere la loro indipendenza; accompagnano le carovane, si incaricano dell'educazione dei figli e sono depositarie delle tradizioni, cultura e alfabeto della loro gente. La loro vita, però, è di breve durata, proprio per dare alla luce i propri figli. Infatti, circa la metà di tutti i bambini sono orfani di madre, perciò si trovano presso i tuareg relativamente poche donne che abbiano superato i cinquanta anni. Se un bambino perde la madre, viene accolto subito da un'altra famiglia ed allevato con lo stesso amore che si ha per un figlio proprio.

Tubu

Il loro territorio si estende in Libia, tra l’oasi di Murzuq e quella di Cufra  e nella parte orientale del Niger; ma vivono prevalentemente nel massiccio del Tibesti, in Ciad, da dove partono con le loro carovane per i lunghi viaggi nel deserto. Le origini di questi nomadi dal portamento altezzoso, sono avvolte nel mistero. Alcuni studiosi pensano che siano i discendenti di popolazioni autoctone neolitiche unitesi a stirpi bianche provenienti dalla valle del Nilo; secondo altri antropologi, la loro origine sarebbe addirittura da ricercare nella lontana Etiopia. E in effetti il loro fisico, la pelle scura, i lineamenti delicati e il naso aquilino, ricordano più quello etiope che quelli delle genti sahariane. Anche la loro lingua non ha radici berbere.

Dal punto di vista antropologico i Tubu si dividono in due sottogruppi: i Teda, che vivono a nord del 18° parallelo e i Daza a sud. I primi allevano dromedari, i secondi capre e buoi ma in entrambe le etnie prevale la resistenza fisica eccezionale che consente loro di compiere lunghe marce nel deserto con scorte minime di acqua e cibo.

Erodono li descrive come imperturbabili guerrieri, agili e tenaci; e anche l’esploratore  tedesco Nachtigal, nei suoi diari, racconta che: “mentre dividevo gli ultimi litri della riserva d’acqua tra i membri assetati della carovana, la guida tubu rifiutava la sua parte sostenendo che, per lui, non era ancora arrivato il momento di bere”.

Ancora oggi, tra le oasi del Sahara nigeriano è diffusa la credenza che un tubu sia in grado di attraversare il Tènèrè, il “deserto dei deserti”, nutrendosi, esclusivamente, di un dattero ogni tre giorni: la buccia il primo giorno, la polpa il secondo e il nocciolo il terzo giorno.

Al di la di queste leggende i Tubu si considerano una etnia superiore, dedita alla nobile attività dell’allevamento, che “li autorizza” a possedere schiavi e a compiere razzie per rubare il bestiame, ma non sempre è corretto descrivere i Tubu come gente spietata e feroce perché la vita di questi nomadi scorre tranquilla scandita da gesti semplici, immutati da secoli; essi, infatti, restano ore in fila vicino ai pozzi per permettere al bestiame di abbeverarsi dal magro recipiente riempito a forza di braccia.

 

I Songhai

 

Fin dal 1400, i Songhai erano conosciuti come dei grandi e valorosi guerrieri, fondatori dei tre grandi imperi medievali dell’Africa occidentale. Le loro terre comprendevano l’alto corso del fiume Niger, quindi tra il Mali orientale e il Niger orientale. I songhai sono per il 99.5% musulmani; vivono di agricoltura

 

Beja

La ricchezza della valle del Nilo ha reso, da sempre, il Sudan meta di immigrazioni e di invasioni. Le principali migrazioni sono state quelle di popolazioni africane provenienti da sud e da ovest e quelle degli arabi da nord e da est. Nei secoli, i nuovi arrivati si sono mescolati tra loro, venendo spesso assorbiti dagli autoctoni e creando quindi una mescolanza di razze che rende la classificazione estremamente difficile. Il colore della pelle non è un indicatore sufficiente a distinguere i sudanesi settentrionali dai meridionali. Anche l'appartenenza alla grande famiglia musulmana non è sempre determinante. Infatti, l'essere musulmani non compensa l'assenza di una discendenza araba convenzionalmente accettata, per quanto più o meno fittizia, che diventa quindi l'elemento discriminante.

II popolo beja non fa eccezione perchè è un gruppo di tribù di nomadi che vive tra la parte meridionale del Deserto Orientale e le colline a sud di Tokar. Sebbene ci siano state delle mescolanze con sangue estraneo (i beja più settentrionali hanno caratteristiche negroidi più evidenti di quelli meridionali), queste tribù costituiscono un gruppo unitario sia nelle caratteristiche fisiche che linguistiche. I beja sono musulmani pur continuando a preservare le loro lingue originali, le loro caratteristiche razziali e i loro costumi tradizionali.

 

Nuba


Il Sudan è il più grande paese africano per vastità di territorio, ma dalla sua indipendenza, avvenuta nel 1995, continua a non avere pace. Esso, infatti, è diviso in due parti completamente diverse; nel nord, 15 milioni di sudanesi dalla pelle bianca sono musulmani e seguono il Corano, mentre nel sud 7 milioni di sudanesi neri divisi in più di 160 tribù seguono le religioni native africane o si sono convertiti al Cristianesimo. Tutto il territorio della parte sud è abitato dal popolo “Nuba” che qui vivono raggruppati in cinquantadue gruppi etnici, ognuno con un nome particolare, una lingua, cultura e tradizioni diverse.

Sulle montagne Nuba si sono rifugiati e arroccati, nel corso dei secoli, gli schiavi fuggiti dalle carovane dei mercanti che dal cuore dell'Africa portavano la loro merce umana verso il mondo arabo, isolandosi così tra di loro e dal resto del mondo. Attualmente alcune grosse tribù hanno un grado di civilizzazione avanzata mentre altre sono rimaste primitive a causa della mancanza di scuole, di servizi e di contatti con il mondo più evoluto. I più progrediti sono in maggioranza cristiani e musulmani.

L'identità Nuba è nata dall'oppressione che costituisce la fondamentale esperienza storica di questo popolo. Il termine Nuba, infatti, non esiste in nessuna lingua indigena, ma è la parola usata da secoli in Egitto e nel Sudan settentrionale per definire gli uomini del sud, considerati potenziali schiavi.

Fra i Nuba la poligamia è segno di benessere. In alcune tribù il fidanzamento avviene quando la donna non ha ancora compiuto i dodici anni e una volta sposata essa diventa proprietà del marito (perché l’ha comprata in cambio di bestiame, soldi o vestiti) che le affiderà il lavoro di casa e i figli. La vita pubblica delle tribù è regolata da tradizioni orali gestite dal capo villaggio (ora scelto dal governo arabo) con l'ausilio di consiglieri anziani.

La guerra e la carestia hanno causato la morte di 500.000 Nuba e, dal 1990, è stato intensificato il genocidio contro questo popolo, impedendo alle organizzazioni internazionali di portare aiuti. Tutto ciò perché le terre dei Nuba sono le più fertili del paese e alcuni gruppi sono tra i migliori agricoltori dell'Africa; inoltre il sud è ricco di ferro e di rame e per via di forza maggiore ha attirato interessi speculativi in quella zona al punto che si sta conducendo una guerra contro la popolazione civile per ridurla alla fame, costringerla a rifugiarsi nei ``campi della pace'', assoggettarla, distruggere l'identità Nuba per trasformarla in rassegnata manodopera. Tale genocidio non avviene, necessariamente, con l'eliminazione fisica della gente ma con l'annientamento della loro identità culturale.

 

I Peul

 

 

I Peul, circa il 13% della popolazione, costituiscono un popolo disperso in tutta l’Africa occidentale che, però, ha saputo conservare la propria identità e la propria lingua, il pulaar. In Senegal si trovano soprattutto nella regione del fiume e nel Ferlo. Secondo una leggenda, apparterrebbero ad una delle tribù perdute di Israele che attraversarono il Sahara con le proprie mandrie lasciando testimonianze del loro passaggio sulle pitture rupestri e che erano accompagnate da pastori identici ai Peul; d’altro canto questi nomadi non hanno caratteristiche simili alle popolazioni negroidi. Altri, invece, sostengono essere dei pastori originari del Fouta Toro (montagne a nord del Senegal)  e che progressivamente si stanziarono nel Sahel alla ricerca di pascoli fino a raggiungere il lago Ciad, dove si stanziarono e si islamizzarono, continuando a seguire il proprio stile di vita impregnato di animismo.

 

Haussa

Gli Haussa vivono nella regione settentrionale della Nigeria e quella meridionale della Repubblica del Niger. La nascita dei regni haussa fu, forse, conseguenza dell'immigrazione verso il Sud di popolazioni berbere, scacciate dall'Aïr dai Tuareg.

La società haussa era un mondo urbano e commerciale, con coltivatori ed artigiani che lavoravano il ferro, il rame, la lana (tessitura e tintura). Costituirono delle città-stato, costruite di terra e protette da alte e spesse mura, con una  lingua comune così come comuni erano le usanze. Un sistema fiscale molto elaborato contribuì alla nascita di un'economia complessa, in cui agricoltura e commercio si combinavano con attività di tipo pre-industriale, con una borghesia urbana imprenditoriale e creativa ed un'aristocrazia burocratica.

Gli Haussa si convertirono all'Islam durante il (nostro) secolo XVI, e, come per tutte le lingue commerciali, la funzione veicolare della lingua haussa si è diffusa presso i gruppi etnici circostanti (è una delle lingue africane parlate da ben 50 milioni di persone), ed ha contribuito ad estendere nella regione lo stile d'una cultura unitaria.

 

Le Città-stato degli Haussa

Nonostante la grande importanza del traffico commerciale in direzione nord-sud, si presume che le città dell'attuale Nigeria, si siano formate per ragioni militari, di occupazione del territorio da parte di gruppi invasori. Queste città sono cinte da mura robuste e di grande lunghezza, che racchiudono anche una vasta area non edificata e una collina naturale, o artificiale, di discreta altezza. Le mura di Kano, erette nel sec. XI, s'innalzavano per 12 m, erano lunghe una ventina di chilometri ed avevano sette grandi porte. In generale i nuclei urbani non sono divisi in quartieri a dominante etnica; a Zinder, però, come ad Agadès, la simbiosi politica e commerciale tra i nobili haussa e gli altrettanto nobili tuareg, gestori del commercio carovaniero, ha generato nuclei urbani con una duplice anima. Così a Zinder, alla cittadella haussa del Birni, sede e proprietà del sultano haussa, si abbina la cittadella commerciale di Zanko o Zankou, ove risiede il sultano dei commercianti tuareg.

C'è chi ritiene che queste tradizioni si siano diffuse sin qui dall'antico Egitto dei Faraoni. Le città-stato degli Haussa furono fondate prima del (nostro) anno Mille, nella regione a nord della confluenza del fiume Benué nel Niger. Al principio del sec. XV, col diffondersi dell'uso dei cammelli, esse divennero importanti punti terminali del traffico che proveniva dal Sahara. Le città si specializzarono e differenziarono le proprie attività, pur mantenendosi ampiamente autonome l'una dall'altra. Zaria, per esempio, era il principale mercato degli schiavi; Kano e Katsina i principali empori a carattere generale; Gobir, nel nord, difendeva tutta la regione dagli attacchi dei predoni Tuareg. L'arrivo degli Europei e lo stabilirsi di un nuovo predominio commerciale sconvolse tutto il traffico della regione, annullando l'importanza dei percorsi transsahariani e indirizzando dall'interno verso la costa le correnti principali d'esportazione. Gli schiavi divennero ben presto il "prodotto" più ricercato. Nel sec. XIX il traffico degli schiavi era la risorsa principale dei mercati haussa; a metà del secolo, il viaggiatore tedesco Heinrich Barth stimò che sul mercato di Kano transitassero cinquemila schiavi ogni anno.
Gli stati haussa erano accomunati dall'uso della medesima lingua e da importanti scambi culturali, nonché dalla comune religione islamica. Nelle loro città, le moschee costituivano il punto focale principale. Gli abitanti erano di diverse etnie: Arabi e Berberi provenienti dall'Africa settentrionale avevano i loro quartieri, così come i differenti gruppi locali. C'erano quartieri di artigiani, organizzati secondo le loro attività. Le abitazioni dei vari gruppi erano disposte in quartieri a spicchi radiali, intorno ai tre centri del potere: il palazzo dell'emiro, la moschea e il mercato. Le mura delle città erano alte sino a 15 m e gli ingressi erano guardati da porte fortificate. Grandi viali univano le porte con il centro città, destinati a facilitare i flussi commerciali, il passaggio dei militari e le grandi processioni religiose.

L'architettura delle città colpisce per la diversità rispetto ai villaggi circostanti. Case e mura di cinta, terrazze, tutto nelle città è fatto d'argilla, mentre nelle campagne i materiali vegetali sono usati per i tetti e per le recinzioni.

L'architettura haussa

Le case haussa sono conosciute in tutto il mondo, grazie al rinato interesse per le costruzioni in terra cruda, con le decorazioni delle loro facciate, dipinte e in bassorilievo, i tipici ornamenti che si stagliano in alto, contro il cielo, come merli, a forma di "orecchie di coniglio" (ma il nome localmente attribuito, zanko, significa "cresta"). Le "orecchie di coniglio", poste agli angoli dei cornicioni, sono state interpretate come simboli di spade o simboli fallici.
Il disordine delle case all'interno di queste città aveva una ragione difensiva: lo straniero si perdeva facilmente e l'intruso cadeva in trappola. Una tale concezione difensiva esisteva anche nelle città europee del Medioevo e si ritrova in diverse parti del continente africano.

Le tipiche case a cortile centrale circondano il centro urbano, costituito generalmente dal grande palazzo reale, la moschea e il mercato. Passaggi pedonali stretti e serpeggianti attraversano i quartieri, fiancheggiati da muraglie di terra. All'entrata di ogni casa si trova un locale "filtro", chiamato zaure, destinato a ricevere gli ospiti. Da esso non si può vedere l'interno della casa, in modo da preservare l'intimità della famiglia. Le facciate sono decorate da bassorilievi geometrici, spesso riccamente colorati. Di solito solo la facciata intorno alla porta principale è decorata, ma i proprietari più ricchi si permettevano di decorare tutto l'esterno della casa e talvolta persino i muri interni con arabeschi colorati. I motivi decorativi somigliano a quelli dei ricami su stoffa.

Tecniche di costruzione

Gli Haussa conoscevano sette modi diversi per fare gli intonaci, che vengono applicati, ancora, con le mani e vengono lisciati accuratamente. Sulla parete rimane il segno del gesto se la superficie non viene ulteriormente decorata con motivi simbolici.

Nel territorio degli Haussa, le coperture delle case erano "a gobba di cammello" su piante rettangolari e a forma di cupole su piante quadrate o rotonde mentre gli archi, fatti di mattoni crudi, sono rinforzati trasversalmente con pezzi di tronchi di palma. Sull'altipiano nigeriano troviamo vere e proprie cupole di terra cruda, ricoperte da tetti di paglia e costruite con mattoni d'argilla impastata con strame animale, senza far uso di nessun sistema di centinatura: si partiva dai muri laterali e si saliva con la volta, stringendo via via l'apertura scoperta, sino al culmine. L'esterno delle costruzioni in terra viene talvolta rinforzato con ciottoli, o con pezzi di mattone cotto inseriti nella superficie.
Le costruzioni più spettacolari della Nigeria sono forse i granai della regione di Gobir perché sono quasi sferici, costruiti in terra cruda con mattoni di poco più di 7 cm di spessore e del diametro di 5,20 metri.

 

La città di Zinder

 

La città di Zinder (Niger) è la principale testimonianza dell'architettura haussa che ne conserva un ricco patrimonio da salvaguardare, di storia, di tradizioni, d'architettura e d'oggetti. Una corporazione di muratori-artisti (fabbri, tessitori e sarti) con loro usanze, loro simboli, loro segreti e misteri che un uomo occidentale, per quanto colto e curioso, può solo intuire, ha fatto di queste intere facciate il proprio “simbolo parlante”: con un proprio linguaggio, al di là del significato delle singole figure; come i piloni d'un tempio egizio.

 

 

Alla scoperta del Tibesti

di

Massimo Baistrocchi

 

 

Il Tibesti entra nella storia, probabilmente, grazie ad Erodoto che nel V secolo a.C. descrisse i primi contatti tra le popolazioni africane della costa mediterranea con le genti dell´interno del continente. È il resoconto della spedizione dei Nasamoni che, partiti da Augila e attraversato tra notevoli difficoltà il deserto a piedi, giunsero ad una riva sulle cui sponde abitava una popolazione “di bassa statura e di pelle nera”. A lungo si ritenne che la meta raggiunta dai giovani dell'aristocrazia guerriera libica fosse il Nilo, anziché il Niger o il lago Ciad, come invece si ritiene oggi. Erodono parla anche dei Garamanti, le popolazioni sahariane originarie dell´odierna Germa, nel Fezzan libico, che “cacciavano i trogloditi etiopi con i loro carri”, e che, in seguito frequenteranno i Romani prima come nemici e poi come alleati.

 

Ai margini della “civiltá”

 

Quando Roma colonizzò la Libia e Garama entrò a far parte della sua orbita, la ricchezza generata dalle provincie romanizzate non poté non destare la cupidigia delle tribù più arretrate dell´interno, che conducevano un´esistenza nomade ai margini della “civiltá”. Le razzie, le incursioni e i saccheggi mettevano in pericolo la “pax romana”, tanto che nel 70 d.C. (con Settimio Flacco) e poi nuovamente nell´86 d.C. (con Giulio Materno) i Romani ritennero necessario organizzare ben due spedizioni contro le orde di nomadi barbari provenienti dal sud che, incuranti del limes mettevano a ferro e fuoco le regioni di confine.

 

Tolomeo racconta che, secondo quanto aveva appreso da Martino di Tiro, Settimio Flacco era partito dalle coste libiche per recarsi nelle terre dei Garamanti, da “dove raggiunse in tre mesi la terra degli Etiopi”. Sappiamo dalla stessa fonte che Giulio Materno era invece partito da Leptis Magna per Garama, dove si era unito al re di quelle contrade per raggiungere “dopo quattro mesi di viaggio la regione di Agisymba, che è popolata da rinoceronti e nella quale vivevano gli Etiopi”.

 

Da una lettura superficiale dei testi sembrerebbe che i Romani si siano spinti ben oltre il Sahara, verso il Sudan e l´Etiopia. In realtà riteniamo che il Tibesti – allora come oggi abitato da tribù dalla pelle scura (melanoderme) – fosse invece il vero obiettivo delle spedizioni punitive romane. Anche se i Romani conoscevano gli Etiopi per il tramite degli Egiziani, è ben possibile che le tribù di razziatori tebbou del Tibesti siano state scambiate per le popolazioni nere del Corno d'Africa. Il riferimento ai rinoceronti di cui la regione del Tibesti era un tempo assai ricca, come sappiamo dalle raffigurazioni rupestri, ci riconduce invece al massiccio ciadiano.

 

Bisognerá attendere i grandi viaggiatori arabi – Al Yakubi (morto nell´897), Al Makam (803/871), Al Bakri (1040/1094) e soprattutto Al Idrisi (1100/1165) – per avere notizie di qualche interesse sulle popolazioni locali e sull´islamizzazione del Tibesti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Con il benestare dell'imperatore Guglielmo di Prussica, il medico tedesco Nachtigal, intraprese nel 1868 una spedizione che lo portó da Tripoli – via murzuk – nel Tibesti. Nachtigal, sfidando l'ostilità delle popolazioni locali tebbou, entró nel massiccio vulcanico attraverso il fiume fossile Enneri Tao per raggiungere il Pic Toussidé ed il Trou au Patron e da li l'oasi di Bardai, dove venne preso prigioniero e tenuto in ostaggio. Dopo di lui bisognerá attendere la corsa coloniale tra Francia e Inghilterra per la conquista del Bar-el ghazal, perché la regione possa finalmente venir descritta con le giuste coordinate negli atlanti.