In anni più
recenti le ricerche archeologiche hanno avuto momenti di grande
difficoltá, a causa della situazione di guerra civile che ha
imperversato per anni sul massiccio vulcanico a partire
dall'invasione libica della “striscia di Auozou”. Ciò premesso,
si sono comunque ottenuti risultati molto interessanti quando è
stato possibile organizzare delle spedizioni di ricerca.
Sulle
datazioni dei rupestri avremo modo di tornare in seguito. Per
questi ultimi, infatti, bisognerà procedere come è accaduto per
altre regioni sahariane: per analogia e confronto, piuttosto che
per dati di scavo, poiché nel Tibesti non esiste “contiguitá”
tra il reperto e in questo caso la pittura o l'incisione
rupestre) e lo strato di deposito, che fornisce gli elementi si
cui è possibile procedere alla datazione.
La scoperta,
invece, di materiali ceramici negli strati di deposito di una
grotta nel nord del Tibesti, Gabrong, fatta dal geomorfologo
tedesco Baldur Gabriel e pubblicata nel 1972, portò a modificare
la teoria della diffusione della cosiddetta ceramica per linee a
onda e punteggiate (“dotted way line”) sulla direttrice
est-ovest, a partire dall'Egitto, propostala Anthony J. Arkell,
dopo il rinvenimento in area neolitica (Khartoum, Esh Shaheinab)
di reperti databili al 3490 a.C. Le tessere di ceramica scoperte
dal Gabriel sono state datate invece intorno al 6100 a.C.
Nuovi
depositi di ceramica
Successivamente,
in regioni adiacenti al Tibesti, sono stati rinvenuti nuovi
depositi di ceramica che hanno confermato quanto sopra detto.
Barbara Barich, a Ri-n-Torha (Tadrart Acacus),ha scoperto
ceramica dotted way line databile attorno al 6600 a.C. mentre in
un anfratto roccioso del Tagalagal (Air), sulle cui pareti era
una pittura antropomorfa. Jean-Pierre Roset ha rinvenuto, in
strati di deposito risalenti al 7200 a.C., circa, altri reperti
della serie indicata da Arkell.
I risultati
degli studi sulle vestigia umane, animali e vegetali vengono
però spesso complicati dal ritrovamento di oggetti la cui
presenza desta interrogativi e la cui coesistenza o
riutilizzazione non è stata ancora spiegata o ben giustificata.
Ció ovviamente solleva incertezze e complica non poco il quadro
d'interpretazione delle tipologie di riferimento di certe aree
culturali arretrate e di scarsi contatti con regioni più
avanzate e sviluppate.
Il Tibesti non
si sottrae a questo “rimescolamento delle carte”. Ad esempio,
ceramica dotted way line (ottenuta mediante l'utilizzo di
pettini) è stata rinvenuta in insediamenti Sao, confinanti a sud
con il Tibesti. Ne consegue che tale tipo di ceramica era ancora
in uso presso popolazioni pre-islamiche d´epoca protostorica (III-VII
sec. D.C) vale a dire molto vicine a noi. Analogamente, i pebble
tools (industria su ciottolo) di Sherda (Tibesti occidentale),
che lo studioso francese Marcel Dalloni negli anni trenta
identificava come oggetti paleolitici appartenenti al
“Prechelleano) (30.000 e più anni da noi si tratta di industrie
che precedono la realizzazione degli strumenti bifacciali)
sembrano essere invece coevi di materiali d´epoca neolitica,
(6000-2500 a.C.), ossia ben piú recenti. Inoltre, la maggioranza
degli arpioni in rosso del Borkou sono riferibili all´etá del
Ferro (III seconolo a.C.-IV secolo d.C.). E cosí via..
Allo
steso modo, sembra che vi siano elementi di contraddizione su
chi fossero realmente gli antichi abitatori della regione, per
intenderci gli “Etiopi” di Erodoto e di Tolomeo. Infatti, nel
settore settentrionale del Tibesti, quello che fa perno attorno
al sistema delle stazioni rupestri di Gonoa e di cui la grotta
di Gabrong è parte integrante, il Gabriel ha rinvenuto in uno
stesso strato di deposito due scheletri riferibili al Neolitico
antico ma appartenenti a diversi tipi di popolazione. I primi
resti si riferiscono a popolazioni negroidi, che potrebbero
essere le tribù tebbou, stanzilai e sedentarie nel nord del
massiccio; il secondo a genti non-negroidi, riferibili a
cacciatori nomadi transumanti negli enneri (fiumi fossili) che
immettono al Tibesti.
Il
quadro eco-ambientale
Per una migliore conoscenza
dell´evoluzione ambientale della regione merita infine accennare
alle correlazioni esistenti tra i documenti di carattere
rupestre e archeologico ed il quadro eco-ambientale. Ricerche
palinologiche mostrano, ad esempio, la presenza di forme di
flora di specie temperata nel Neolitico antico. Ció fa supporre
l´esistenza di un regime di piogge cinque, dieci e anche venti
volte superiore alla media attuale, che è di 20 mm nelle zone
piane e di 120 mm sulle vette.
Ció
starebbe ad indicare che il clima del Tibesti ha subito
evoluzioni contenute dal Neolitico antico fino a più o meno la
metá del I millennio a.C., epoca in cui il clima avrebbe avuto
quella brusca evoluzione e accelerazione del processo di
desertificazione di cui soffre ancora oggi. Tale osservazione è
corroborata dal ritrovamento di un femore d´elefante (animale
che evolve in regimi semi-aridi e di savana, ma non desertici),
che risale al 720 a.C., nella regione di Bardai.
Pur essendo una tipica area
sahariana, il Tibesti presenta condizioni ambientali e culturali
diverse da regioni come il Téneré e l´Air ad est e il Tassili
n´Ajjers ed il Tadrart a nord est, mentre è simile al Fezzan
nella parte piú rocciosa. Il Tibesti è il piú vasto massiccio
montuoso del Sahara e con numerose cime supera i 3000 m
d´altezza (Emi Koussi 3415 m, Tarso Emissi 3376 m, Pic Toussidé
3265 m). Si tratta di un enorme apparato lavico di origine
tardo-mesozoica, formatosi 70 milioni di anni fa.
La cronologia del generale Huard
L´unico che fino ad oggi si sia
avventurato nello studio di una cronologia di base per l´arte
rupestre del Tibesti è stato lo studioso francese gen. Paul
Huard, il quale ha proposto una sequenza che fa perno su un
sistema denominato “arte dei cacciatori e dei pastori” nella
fase cosiddetta “pastorale”, da lui suddivisa in tre periodi
(antico, medio e tardo). A queste fasi “pastorali” farebbero
seguito le fasi più recenti dell´arte sahariana, del cavallo e
del cammello, mentre sarebbero precedute da una fase arcaica
(10.000-6000 a.C.). Quest´ultima riprodurrebbe gli sviluppi
caratteristici del Fezzan, anche se manca quasi del tutto
l´elemento di riferimento del bufalo dalle grandi corna (il
bubalus antiquus, esistito giá in epoca protostorica). L´assenza
del bubalus è d´altro canto comprensibile a causa della
conformazione geo-morfologica e vulcanica del terreno e della
scarsitá dei corsi d´acqua. L´animale più rappresentato dagli
antichi abitatori della regione è invece l´elefante (a Gonoa
sono stati contati ad esempio non meno di 34 esemplari).
Nella fase pastorale antica
(6000-4000 a.C.) fanno la loro apparizione nei disegni rupestri
i “cacciatori-pastori”, associati ancora con una fauna di grandi
dimensioni (elefanti, rinoceronti), che può essere a sua volta
accompagnata da motivi di carattere rituale e magico-religioso
(spirali ed altri segni). Si accentua la presenza dei bovidi,
rappresentati dapprima in elementi singoli e poi sempre più
spesso in mandrie.
Elementi di memoria
La successiva fase pastorale media
(40000-2800 a.C.) vede la progressiva e accentuata scomparsa
degli animali di grandi dimensioni (anche se vengono ancora
proposte le riproduzioni degli elefanti, probabilmente piú come
un elemento di memoria che non di realtá) e lo sviluppo di unitá
di fauna di media e piccola dimensione come giraffe, antilopi e
struzzi.
Con la fase pastorale tarda recente
(2800-1500 a.C.) giungiamo alla schematizzazione degli elementi
di piccola fauna, che preannunciano la comparsa del cavallo
(raffigurazione peraltro abbastanza rara in questa regione per
le difficoltá dell´habitat) e quella, successiva, del cammello.
I disegni rupestri del Tibesti sono
prevalentemente incisioni. Le pitture sono assai rare e si
trovano essenzialmente nei massicci esterni di raccordo, che
bordeggiano la regione vulcanica a sud, ad occidente e verso le
grandi distese sabbiose della Libia.
Nel
Tibesti meridionale, le stazioni sono limitate nel numero. A
parte una bella scena di caccia alla giraffa (Guehessen) ed un
pachiderma con le zampe posteriori legate e spirali nel ventre (Kla
Ouenama), la stazione più importante é quella di Ehi Atroun,
situata in una sorta di abside di cattedrale in un pan di
zucchero solitario che si vede emergere piano piano dalle sabbie
a molte decine di chilometri di distanza. L´elemento di maggiore
interesse è un grande leopardo. Che si tratti di un felino non
sembra dubbio, per il corpo slanciato ed il treno posteriore da
grande predatore abile alla corsa; il muso ha lasciato tuttavia
perplessi alcuni studiosi perché smussato, mentre le orecchie
sono arrotondate. All´interno del grande felino (lungo 85 cm)
gli ignori artisti della preistoria hanno inciso dei guerrieri.
Il sito del pilota
Procedendo verso nord-ovest, si
incontra in pieno deserto il sito denominato Mokto (nome della
topografia locale, anche noto come Sito Voirin in onore del
pilota di elicotteri della missione Berliet-Tchad del 1960, che
lo avvistó per primo); Henry J.Hugot lo classifica come una
“necropoli garamantica”. Il sito, un esempio forse unico in
tutto il Sahara, ha molto sofferto per la guerra poiché i
libici, quando hanno occupato militarmente la regione, hanno
costruito nelle sue immediate vicinanze una pista d´atterraggio
per i loro aerei ad ala fissa con le connesse infrastrutture,
accampamenti e posti di guardia. Le grandi pietre che formavano
le tombe (non scavate) sono state abbattute, molte sono state
divelte e giacciono sparse sul terreno, spezzate dalle barbarie
dell´ignoranza.
Se in un enneri (fiume fossile)
laterale del Zouarké sono state ritrovate, nei pressi di una
guelta, le incisioni rupestri di bovidi e di guerrieri con arco
segnalate da Raymond Mauny nel corso della stessa spedizione
Berliet, per contro sembrano essere sconosciute le incisione
(specie i motivi spiraliformi) individuati sui lastroni di
pietra arenaria ai bordi di una delle grandi meraviglie della
natura, il Trou au Patron, il cratere di oltre 6 Km di diametro
ai bordi del Pic Toussidé.
La visita delle principali stazioni
sulla direttrice Oudingueur-Bardai ha rivelato che soprattutto
il primo sito ha molto sofferto per la guerra per il fatto che
la pista d´ accesso al Tibesti passa proprio nei pressi di
questa stazione. I soldati di uno o dell´altro campo, oltre a
sparare sui graffiti, hanno voluto lasciare incisi i propri nomi
e le date del loro passaggio sulla roccia scura.
Centro di diffusione
Gonoa è, secondo il generale Huard,
il centro di diffusione e di irradiazione della “arte dei
cacciatori e dei pastori”. Nel corso della ricognizione sono
state esaminate le incisioni di grande fauna (oltre ai 34
elefanti di cui si è detto, è stato avvistato un ippopotamo e
ben 13 rinoceronti) databili tra la metá del VI e del IV
millennio a.C.. Le tecniche d´incisione su pietra non sembrano
essere molto dissimili da quelle del Fezzan libico. L´intera
falesia di Gonoa è tappezzata di incisioni di mandrie di buoi al
pascolo e, sulle pietre basse, di elefanti di tutte le
dimensioni, sviluppati con varie tecniche, con il picchettaggio
o in negativo con l´asportazione della roccia, oppure tracciando
i soli contorni, ora con tratti profondi e levigati, ora con
tratti sottili.
La stazione va famosa per la
raffigurazione dell´”uomo di Gonoa”, forse l´esempio più
perfetto dell´arte del Tibesti. Si tratta di un guerriero in
movimento, nudo, presentato con il sesso al naturale (come nelle
raffigurazioni di tipo etrusco, un dettagli non molto comune
poiché le figure maschili dell´iconografia sahariana sono in
genere asessuate o itifalliche). Il personaggio porta una
maschera a casco che gli nasconde il volto ed è armato di una
clava, che tiene appoggiata all´omero. Anche su di lui la guerra
ha lasciato le sue tracce nefaste, non segni di armi da fuoco
ma del vandalismo e dell´ignoranza dell´uomo, che ha martellato
gli organi genitali e voluto sodomizzare il personaggio
Tra i rupestri meritano particolare
attenzione due splendide giraffe. Oltre alla levigatura del muso
degli animali, particolarmente ben rifiniti, molto riuscita è
anche la lavorazione del corpo (ottenuta tracciando un fitto
reticolato che riprende in senso marcatamente naturalistico le
chiazzature del pelame) e delle criniere, incise con accurato
dettaglio.
La stazione di Gira Gira è composta
di due parti, tra loro separate da circa mezzo chilometro. Tra
gli elementi piú caratteristici figurano un elefante
picchettato, che potrebbe risalire alla fase antica, con un
omino davanti ad un fitto reticolo di altri segni di non facile
interpretazione; un altro pachiderma di grandi dimensioni è
realizzato in bello stile naturalistico con le pieghe della
proboscide ben evidenziate (la patina del tratto si stempera con
quella della roccia il che lo riconduce alla fase arcaica); una
sequenza di giraffe degli arti filiformi, in cui cinque elementi
sono perfettamente disegnati accanto a molti animali appena
abbozzati. In un successivo momento l´artista di Gira Gira ha
tracciato sulla mandria di giraffe un grande bue, con le corna
in avanti.
Il blu in negativo
La stazione occidentale possiede
incisioni abbastanza recenti: un grande bue in negativo, un bel
cervide e una serie di mufloni dalle corna ritorte. Piú antichi
invece due grandi buoi dalle ampie corna lunate e una figura
umana con la testa rotonda, realizzata con tratto sottile. Anche
Bardai ha sofferto per la guerra dopo essere stata occupata da
parte delle truppe libiche. Di particolare interesse è
l´incisione rupestre di una sequenza di guerrieri itifallici con
piume sul capo, che tengono nella sinistra un bastone ricurvo
(da lancio?) e che sembrano danzare sopra alcuni buoi dalle
corna in avanti.
Le ultime scoperte
Nel corso della spedizione nel
Ribesti è stato possibile rilevare alcune nuove stazioni d´arte
rupestre. Di particolare interesse per le pitture sono risultate
le stazioni identificate nell´Enneri Tougoi dall´occhio
infallibile dal tuareg Tanko, un giovane cammelliere nativo di
Timia nell´Air, entrato a far parte del gruppo di Piero Ravá, un
appassionato conoscitore di luoghi e di carovaniere sahariane.
Le due stazioni si trovano a poca distanza luna dall´altra in
anfratti a metá costa di una falesia il cui accesso è abbastanza
ardito, specie per la seconda, peró piú difficile da
individuare. Grazie all´uso di strumenti satellitari è stato
possibile fissare le coordinate delle due nuove stazioni di
pitture dell´Enneri Tougoi (19°30’N – 17°53’E). Va ricordato che
nella zona vi sono innumerevoli graffiti di giraffe, buoi,
struzzi e cammelli, di varie epoche e stili; ma si ignorava
l´esistenza di pitture.
Il balzo del levriero
Il primo sito possiede belle
raffigurazioni in ocra rossa e bianca raffiguranti, tra l´altro,
un cacciatore armato d´arco a due curve con due cani sloghi
(sorta di levrieri del deserto), di cui uno molto bello colto
mentre si lancia in un balzo all´inseguimento di un muflone
dalle grandi corna, anch´esso in corsa. Accanto a numerose
raffigurazioni di bovidi (di cui alcuni pezzati di bianco) è una
figura femminile con una lunga gonna, in piedi davanti a quello
che sembra essere un deposito a copertura tonda per granaglie,
sollevato sul terreno. Nella parte bassa della parete è una
mandria di buoi pezzati, alcuni dei quali sono dipinti sopra a
figura antropomorfe con testa a fagiolo e penna, assai simili
alle figure di guerrieri del Fezzan.
La stazione espone anche buoi
bianchi di fattura meno raffinata, il cui pelame è evidenziato
da un rozzo reticolato bianco. Accanto agli animali sono dei
pastori che conducono la mandria al pascolo, tra cui un piccolo
personaggio in ocra rossa che sembra afferrare un animale per la
coda.
Vi sono poi due personaggi in ocra
rossa, di cui uno seduto, con una pelle bianca che scende
dall´omero sinistro. Il personaggio in piedi ha, oltre alla
cappa, una cintura e delle strisce di cuoio bianco ai polpacci.
Accanto a questi due personaggi ve ne sono altri in movimento,
che sembrano accennare a dei passi di danza.
Pastori con mantello bianco
Interessanti anche due figurine,
una in piedi e l´altra seduta con le gambe divaricate:
probabilmente in epoca posteriore gli organi sessuali dei due
personaggi sono stati tra loro uniti da un tratto di ocra rossa
piú scura. Sulla stessa parete sono poi altri pastori, anch´essi
con un mantello bianco, che seguono al pascolo una mandria di
buoi pezzati.
La seconda stazione, che dista
qualche centinaio di metri dalla prima, possiede un guerriero in
ocra chiara ripreso di fronte (con le braccia accostate ai
fianchi e le dita delle mani segnate in modo alquanto rozzo),,
che reca nella sinistra una lancia dalla punta larga e molto
pronunciata. In ocra rossa sono invece tre figure antropomorfe
attorno ad un bovino dalle lunghe corna. Il posizionamento delle
figure è alquanto bizzarro. Davanti all´animale sta seduto un
personaggio con le gambe leggermente piegate e divaricate,
mentre gli altri due sembrano stare uno sopra e l´altro sotto il
muso dell´animale. La figura di sopra, incompleta, sembra
puntare una lancia o un lungo bastone al petto dell´uomo steso a
terra. La rappresentazione pittorica potrebbe essere
interpretata come una scena di abigeato, in cui il ladro sia
stato colto sul fatto dai legittimi proprietari.
All´interno dell´anfratto, sulla
parete di sinistra, è una sequenza di arcieri che sovrastala
scena centrale dell´affresco, composta da una coppia di grandi
personaggi con testa a palla, che si tiene per mano. La figura
più imponente è sicuramente femminile e rappresenta
probabilmente una donna di rango. La testa tonda, senza tratti
facciali, ha una pettinatura molto elaborata con peduncoli a
raggera finemente lavorati. Il busto è triangolare, molto
stretto in vita, e accentua l´abbondanza delle natiche, coperte
da una gonna che scende fino a terra. L´altra figura veste,
invece, una gonna fino a metà polpaccio.
Un villaggio neolitico
Abbastanza vicino ai siti
descritti, oltrepassato uno sperone di roccia e superata un´erta
mista di sabbia e roccia, ben dentro al massiccio, è stato
scoperto quello che sembra un vero e proprio villaggio
neolitico, dove sono ancora in piedi – per circa 1 metro
d´altezza, alcune strutture ancora complete dell´architrave
della porta d´accesso – le basi di undici capanne tonde. Sulle
pareti di roccia prospicienti compaiono incisioni raffiguranti
buoi con le corna in avanti, un uomo a cavallo e tre arcieri di
fattura più recente (picchettati e di patina chiara), di cui due
si affrontano ed il terzo sembra in attesa, pronto ad
intervenire.
Nella stessa regione di Enneri
Tougoui è stata rinvenuta anche una nuova stazione nella
localitá Aneda (20°01’N – 18°09’E), che mostra giraffe antiche
accanto ad altre più recenti, cammelli e una bella coppia di
buoi dalle corna lunate e di solco ampio, di patina antica e di
eccellente fattura, le cui figure si intrecciano una nell´altra.
Tra le scoperte di un certo rilievo
merita ancora riportare il rinvenimento di alcuni manufatti in
una sella tra dune e rocce (18°55’ N- 17°39’N): oltre a due
esemplari di “ascia a gola”, di cui una eccezionale di tipo
tenereano, è stata trovata anche una moneta in bronzo
(probabilmente romana e attualmente allo studio). V´è inoltre un
sito che poteva essere un antico luogo di culto, trovandosi su
un piccolo pianoro roccioso del Tassili Siniga, lasciata alle
spalle la pista per Zouar all´altezza della Balise Leclerc 455.
Sul pianoro sonos tate contate nove tombe preislamiche di
diversa dimensione, realizzate con grandi lastroni di pietra
infissi verticalmente nel terreno, ed una a forma di bazina
(tomba cilindrica di etá preislamica). Su alcune rocce
orizzontali ai bordi della falesia sono state rinvenute una gran
quantitá di macine scavate nell´arenaria per sminuzzare minerali
e alcune incisioni, tra cui numerose spirali e un cacciatore che
insegue un cervo, risalenti al periodo dei cacciatori antico.
Infine, non è stato possibile
effettuare la ricognizione programmata anche alle stazioni di
Aouzou (spirali e motivi serpentiformi),Taar Doi (spirali e
incisioni curvilinee), Ehi Barou (pitture arcaiche), nella
fascia di territorio ancora non evacuata dalle truppe libiche, e
ad altre stazioni del Ribesti per il pericolo connesso con le
mine. Oggi, infatti, l´accesso degli stranieri nella regione è
stato nuovamente interdetto, dopo che un secondo fuori-strada è
saltato su una mina causando un morto.
Charles de Foucauld
Charles de Foucauld nasce a Strasburgo nel 1858. Rimasto
orfano viene adottato dal nonno materno del quale seguirà la
carriera militare.
Tenente dell'esercito francese di stanza in Algeria, nel
1885, terminata la campagna militare si dimette dall’esercito e
rimane in Africa perché ne è attratto e perché gli permette di
dedicarsi alle ricerche etnografiche del Sahara. È proprio al
deserto d’Algeria, allo studio delle tradizioni e costumi tuareg
(ne imparerà la lingua), che dedica una parte della sua vita.
Però de Foucauld è anche un uomo alla ricerca di Dio.
"Per dodici anni, ho vissuto senza alcuna fede: nulla mi
pareva sufficientemente provato. L'identica fede con cui
venivano seguite religioni tanto diverse mi appariva come la
condanna di ogni fede.. Per dodici anni rimasi senza nulla
negare e nulla credere, disperando ormai della verità, e non
credendo più nemmeno in Dio, sembrandomi ogni prova oltremodo
poco evidente".
Nel 1901 è ordinato sacerdote e il 28 ottobre dello stesso
anno fissa la sua residenza a Bénis-Abbès (Algeria), dove
costruisce un eremo per fondare una fraternita dove le sue
meditazioni e i suoi ritiri diventeranno silenzi e scritti per
dar modo alle popolazioni del Sahara di conoscere direttamente
le verità cristiane. Sensibilizza le Autorità sul dramma della
schiavitù e riesce ad affrancare parecchi schiavi
Nel 1905 si trasferisce a Tamanrasset e lì costruisce un
piccolo romitorio; farà altrettanto nel 1910 cin la costruzione
di un eremo nell'Aschrem, sull'Hoggar, in difesa dei tuareg. Fu
proprio nel 1907 che Charles de Foucauld inizia un grandissimo
lavoro scientifico sui canti, poesie e proverbi degli “uomini
blu”.
“continuare nel Sahara la vita nascosta di Gesù a Nazareth,
non per predicare, ma per servire nella solitudine la povertà e
l’umile lavoro di Gesù”
Esausto, Charles, si ammala e saranno proprio i tuareg che
lo salveranno dividendo con loro il poco latte di capra in un
periodo di siccità. Solo allora, capisce che l’amicizia e
l’amore tra fratelli passa attraverso lo scambio e la
reciprocità.
“Il mio apostolato deve essere l’apostolato della bontà.
Vedendomi la gente deve dire: poiché quest’uomo è buono…la sua
religione deve essere buona”
Nel 1914 scoppia la guerra in Francia e anche nel deserto
la situazione non era tanto tranquilla per la presenza di
razziatori marocchini e minacce dei Senussi libici che
scorazzavano liberamente per l’assenza dei soldati francesi
richiamati al fronte europeo.
La vita di padre de Foucauld si conclude tragicamente il 1°
dicembre 1916 quando un gruppo di tuareg, comandati da alcuni
Senussi lo catturano e lo legano. Forse, si sarebbe potuto
salvare se, nel tentativo di avvertire due ignari meharisti
francesi, non si fosse messo a gridare del pericolo che stavano
correndo.
Per se
aveva voluto “povertà, abiezione, umiliazione, abbandono,
persecuzione e sofferenza” che lo avevano convinto di quanto
povera fosse la vita dell’uomo e quanto era stato conquistato
dalla nuda bellezza del deserto che lo aveva aiutato ad
avvicinarsi a Dio.
Popoli del Sahara
Sahara
in lingua araba significa “Nulla” ma il padre di tutti i deserti
non è affatto un luogo disabitato perché molti popoli sahariani
vivono tra le sue sabbie; gente abituata a convivere con
l’asprezza dell’ambiente e alla perenne ricerca di oasi e fonti
d’acqua. Come diceva il filosofo Filone di Alessandria “la
sapienza è amica del deserto” e ancora adesso i tuareg insegnano
che il deserto fu dato da Dio agli uomini affinché vi trovassero
la loro anima.
Oltre ai
paesi nord africani le cui etnie sono arabe e berbere, nel
Sahara vivono altre etnie poco conosciute che ancora oggi hanno
un ruolo determinante nella comunità sahariana.
I Bambara
Originari
del Sudan oggi sono concentrati nella parte meridionale del Mali
(tra Segou e Niono) ma anche in Guinea, Burkina Faso e Senegal.
si occupano del governo, dell’agricoltura e della vita
culturale del Paese. La loro lingua è il “mande” e sono degli
abili artigiani di maschere in legno, tipiche della loro
tradizione.
La
scrittura è stata introdotta quando la regione era sotto il
dominio coloniale francese e di conseguenza, a causa della
predominanza del francese come " lingua d' élite", la
letteratura in lingua bambara si sviluppa lentamente. Esiste,
tuttavia, una tradizione orale vivente, fatta di storie e di
racconti trasmessa dai narratori e dai cantanti che hanno
studiato l'arte del canto e del racconto il cui tema riguarda la
storia del vecchio Impero del Mali.
I Mauri
Abili
artigiani, i Mauri sono un popolo nomade che gravita tra il
Marocco meridionale e la Mauritania. Come i tuareg sono detti
“uomini blu” per via del colore indaco dei loro abiti che, in
quanto tintura “naturale” (e non chimica), per effetto della
calura si trasferisce sulla pelle dando quell’aspetto bluastro.
I mauri sono di fede islamica e la loro cultura ha assorbito
alcuni elementi presenti nelle culture dell’Africa nera.
I Dogon
Quella dei
Dogon è una delle oltre venti etnie africane che popolano il
Mali; attualmente non arrivano alle 300.000 unità dichiarate
dalle informazioni ufficiali, a causa della micro-emigrazione
interna dei giovani; abitano una terra arida ed assolata a sud
della grande ansa del Niger, al confine del Burkina Faso. I loro
villaggi sono disseminati sulla sommità ed ai piedi della
falesia di Bandiagara. Essi si rifugiarono in questa zona
inospitale per sfuggire all’espansionismo dei grandi imperi
islamici medievali costituitisi sulle sponde del Niger. Grazie
all'inaccessibilità del loro territorio riuscirono nel corso dei
secoli a non essere influenzati dall'islam prima e dal
colonialismo europeo poi, conservando la religione animista e le
antiche tradizioni. I Dogon hanno costruito poveri villaggi di
fango e paglia, collegati fra loro da aeree scalette di legno e
vertiginosi sentieri.
Sono
rimasti lontani dalle civiltà tecnologicamente avanzate, e pur
non avendo avuto contatti storici documentabili con altre
società umane (salvo che nel periodo degli esploratori), vivono
secondo un complesso sistema sociale ben organizzato. L'economia
e' di mera sussistenza, basata principalmente sull'agricoltura e
solo in parte su caccia, pesca e allevamento (capre, pecore ed
asini).
Nei
villaggi il lavoro e' rigorosamente definito dai ruoli sociali
dell'uomo e della donna: l'agricoltura e' una occupazione sia
maschile che femminile, mentre soltanto gli uomini cacciano,
pescano, si occupano del bestiame, intrecciano canestri e
tessono cotone.
La
tessitura e' un'arte sacra riservata a pochi; considerata la
prima arte insegnata all'umanità, simboleggia la combinazione
degli opposti: il maschile e il femminile, la terra e l'acqua.
I Dogon
hanno rinomate abilità artistiche, ereditate dai Tellem,
popolazione che visse nella stessa regione molti secoli prima di
loro. Esse consistono nella colorazione dei tessuti e
nell'intaglio del legno, in special modo per le maschere rituali
e le porte delle loro abitazioni.
Una
caratteristica presente in questo popolo, che lo distingue dalle
altre etnie, consiste nel fatto che gli anziani hanno complesse
cognizioni astro-cosmogoniche incredibilmente precise e
dettagliate. Il primo contatto tra i Dogon e la cosiddetta
civiltà risale al 1907 e a partire dal 1931 molti studiosi
ritengono che il sapere iniziatico dei Dogon derivi da un
retaggio culturale antico migliaia di anni e il fatto che gran
parte di tale esperienza sia di carattere scientifico,
indurrebbe a pensare che in epoche remote gli antenati dei dogon
abbiano interagito con una civiltà molto più evoluta e
tecnologicamente più avanzata.
Questi
misteri hanno contribuito ad aumentare il fascino di questo
popolo che ha saputo creare una visione dell'universo così ricca
e complessa da fare invidia a qualsiasi altra religione.
Tuareg
Un tempo
feroci predoni, oggi vivono di pastorizia praticata dai loro
servi.
Questa
tribù è di razza bereber con abbondante meticciato con i neri
sudanesi. Il loro habitat tradizionale comprende vaste aree del
sud algerino e libico, l’ovest del Niger, il nord del Burkina
Faso e l’est del Mali.
Nel XV
secolo si convertirono alla fede musulmana, anche se con
influenze animistiche; hanno sviluppato una cultura nomade
basata nella pastorizia e nel commercio, soprattutto quello del
sale, oggetto di baratto con tè, zucchero, stoffe e stuoie, però
non sono mai stati una forma di entità politica centralizzata.
Fino al XIX secolo i tuareg non conoscevano le frontiere
nazionali e sviluppavano la loro attività commerciale
liberamente nell'immensa regione sahariana perché erano
commercianti e allevatori di bestiame transumanti; gli unici
capaci di passare il deserto mettendo in contatto i vari mercati
del Sahel africano con le città arabe del Mediterraneo.
Il nucleo
minimo d'organizzazione sociale dei tuareg è l'accampamento,
composto di solito da circa cinque o sei famiglie. La sezione
raggruppa tra 10 e 20 accampamenti. Il grado maggiore
d'organizzazione è la confederazione, che unisce varie sezioni
sotto la direzione d'una leadership.
L'ordinamento
sociale dei Tuareg si basa sulla distinzione di quattro classi:
i nobili, i vassalli, i servi e gli operai. I nobili
costituiscono la classe più pura, mentre gli operai,
specialmente i fabbri, sono disprezzati perchè considerati amici
del "diavolo".
Le donne
tuareg sono molto libere e di forte tradizione matriarcale. A
differenza degli uomini, loro hanno il volto scoperto e
ritardano il matrimonio per mantenere la loro indipendenza;
accompagnano le carovane, si incaricano dell'educazione dei
figli e sono depositarie delle tradizioni, cultura e alfabeto
della loro gente. La loro vita, però, è di breve durata, proprio
per dare alla luce i propri figli. Infatti, circa la metà di
tutti i bambini sono orfani di madre, perciò si trovano presso i
tuareg relativamente poche donne che abbiano superato i
cinquanta anni. Se un bambino perde la madre, viene accolto
subito da un'altra famiglia ed allevato con lo stesso amore che
si ha per un figlio proprio.
Tubu
Il loro
territorio si estende in Libia, tra l’oasi di Murzuq e quella di
Cufra e nella parte orientale del Niger; ma vivono
prevalentemente nel massiccio del Tibesti, in Ciad, da dove
partono con le loro carovane per i lunghi viaggi nel deserto. Le
origini di questi nomadi dal portamento altezzoso, sono avvolte
nel mistero. Alcuni studiosi pensano che siano i discendenti di
popolazioni autoctone neolitiche unitesi a stirpi bianche
provenienti dalla valle del Nilo; secondo altri antropologi, la
loro origine sarebbe addirittura da ricercare nella lontana
Etiopia. E in effetti il loro fisico, la pelle scura, i
lineamenti delicati e il naso aquilino, ricordano più quello
etiope che quelli delle genti sahariane. Anche la loro lingua
non ha radici berbere.
Dal punto
di vista antropologico i Tubu si dividono in due sottogruppi: i
Teda, che vivono a nord del 18° parallelo e i Daza a sud. I
primi allevano dromedari, i secondi capre e buoi ma in entrambe
le etnie prevale la resistenza fisica eccezionale che consente
loro di compiere lunghe marce nel deserto con scorte minime di
acqua e cibo.
Erodono li
descrive come imperturbabili guerrieri, agili e tenaci; e anche
l’esploratore tedesco Nachtigal, nei suoi diari, racconta che:
“mentre dividevo gli ultimi litri della riserva d’acqua tra i
membri assetati della carovana, la guida tubu rifiutava la sua
parte sostenendo che, per lui, non era ancora arrivato il
momento di bere”.
Ancora
oggi, tra le oasi del Sahara nigeriano è diffusa la credenza che
un tubu sia in grado di attraversare il Tènèrè, il “deserto dei
deserti”, nutrendosi, esclusivamente, di un dattero ogni tre
giorni: la buccia il primo giorno, la polpa il secondo e il
nocciolo il terzo giorno.
Al di la di
queste leggende i Tubu si considerano una etnia superiore,
dedita alla nobile attività dell’allevamento, che “li autorizza”
a possedere schiavi e a compiere razzie per rubare il bestiame,
ma non sempre è corretto descrivere i Tubu come gente spietata e
feroce perché la vita di questi nomadi scorre tranquilla
scandita da gesti semplici, immutati da secoli; essi, infatti,
restano ore in fila vicino ai pozzi per permettere al bestiame
di abbeverarsi dal magro recipiente riempito a forza di braccia.
I Songhai
Fin dal
1400, i Songhai erano conosciuti come dei grandi e valorosi
guerrieri, fondatori dei tre grandi imperi medievali dell’Africa
occidentale. Le loro terre comprendevano l’alto corso del fiume
Niger, quindi tra il Mali orientale e il Niger orientale. I
songhai sono per il 99.5% musulmani; vivono di agricoltura
Beja
La
ricchezza della valle del Nilo ha reso, da sempre, il Sudan meta
di immigrazioni e di invasioni. Le principali migrazioni sono
state quelle di popolazioni africane provenienti da sud e da
ovest e quelle degli arabi da nord e da est. Nei secoli, i nuovi
arrivati si sono mescolati tra loro, venendo spesso assorbiti
dagli autoctoni e creando quindi una mescolanza di razze che
rende la classificazione estremamente difficile. Il colore della
pelle non è un indicatore sufficiente a distinguere i sudanesi
settentrionali dai meridionali. Anche l'appartenenza alla grande
famiglia musulmana non è sempre determinante. Infatti, l'essere
musulmani non compensa l'assenza di una discendenza araba
convenzionalmente accettata, per quanto più o meno fittizia, che
diventa quindi l'elemento discriminante.
II popolo
beja non fa eccezione perchè è un gruppo di tribù di nomadi che
vive tra la parte meridionale del Deserto Orientale e le colline
a sud di Tokar. Sebbene ci siano state delle mescolanze con
sangue estraneo (i beja più settentrionali hanno caratteristiche
negroidi più evidenti di quelli meridionali), queste tribù
costituiscono un gruppo unitario sia nelle caratteristiche
fisiche che linguistiche. I beja sono musulmani pur continuando
a preservare le loro lingue originali, le loro caratteristiche
razziali e i loro costumi tradizionali.
Nuba
Il Sudan è il più grande paese africano per vastità di
territorio, ma dalla sua indipendenza, avvenuta nel 1995,
continua a non avere pace. Esso, infatti, è diviso in due parti
completamente diverse; nel nord, 15 milioni di sudanesi dalla
pelle bianca sono musulmani e seguono il Corano, mentre nel sud
7 milioni di sudanesi neri divisi in più di 160 tribù seguono le
religioni native africane o si sono convertiti al Cristianesimo.
Tutto il territorio della parte sud è abitato dal popolo “Nuba”
che qui vivono raggruppati in cinquantadue gruppi etnici, ognuno
con un nome particolare, una lingua, cultura e tradizioni
diverse.
Sulle
montagne Nuba si sono rifugiati e arroccati, nel corso dei
secoli, gli schiavi fuggiti dalle carovane dei mercanti che dal
cuore dell'Africa portavano la loro merce umana verso il mondo
arabo, isolandosi così tra di loro e dal resto del mondo.
Attualmente alcune grosse tribù hanno un grado di civilizzazione
avanzata mentre altre sono rimaste primitive a causa della
mancanza di scuole, di servizi e di contatti con il mondo più
evoluto. I più progrediti sono in maggioranza cristiani e
musulmani.
L'identità
Nuba è nata dall'oppressione che costituisce la fondamentale
esperienza storica di questo popolo. Il termine Nuba, infatti,
non esiste in nessuna lingua indigena, ma è la parola usata da
secoli in Egitto e nel Sudan settentrionale per definire gli
uomini del sud, considerati potenziali schiavi.
Fra i Nuba
la poligamia è segno di benessere. In alcune tribù il
fidanzamento avviene quando la donna non ha ancora compiuto i
dodici anni e una volta sposata essa diventa proprietà del
marito (perché l’ha comprata in cambio di bestiame, soldi o
vestiti) che le affiderà il lavoro di casa e i figli. La vita
pubblica delle tribù è regolata da tradizioni orali gestite dal
capo villaggio (ora scelto dal governo arabo) con l'ausilio di
consiglieri anziani.
La guerra e
la carestia hanno causato la morte di 500.000 Nuba e, dal 1990,
è stato intensificato il genocidio contro questo popolo,
impedendo alle organizzazioni internazionali di portare aiuti.
Tutto ciò perché le terre dei Nuba sono le più fertili del paese
e alcuni gruppi sono tra i migliori agricoltori dell'Africa;
inoltre il sud è ricco di ferro e di rame e per via di forza
maggiore ha attirato interessi speculativi in quella zona al
punto che si sta conducendo una guerra contro la popolazione
civile per ridurla alla fame, costringerla a rifugiarsi nei
``campi della pace'', assoggettarla, distruggere l'identità Nuba
per trasformarla in rassegnata manodopera. Tale genocidio non
avviene, necessariamente, con l'eliminazione fisica della gente
ma con l'annientamento della loro identità culturale.
I Peul
I Peul,
circa il 13% della popolazione, costituiscono un popolo disperso
in tutta l’Africa occidentale che, però, ha saputo conservare la
propria identità e la propria lingua, il pulaar. In Senegal si
trovano soprattutto nella regione del fiume e nel Ferlo. Secondo
una leggenda, apparterrebbero ad una delle tribù perdute di
Israele che attraversarono il Sahara con le proprie mandrie
lasciando testimonianze del loro passaggio sulle pitture
rupestri e che erano accompagnate da pastori identici ai Peul;
d’altro canto questi nomadi non hanno caratteristiche simili
alle popolazioni negroidi. Altri, invece, sostengono essere dei
pastori originari del Fouta Toro (montagne a nord del Senegal)
e che progressivamente si stanziarono nel Sahel alla ricerca di
pascoli fino a raggiungere il lago Ciad, dove si stanziarono e
si islamizzarono, continuando a seguire il proprio stile di vita
impregnato di animismo.
Haussa
Gli Haussa
vivono nella regione settentrionale della Nigeria e quella
meridionale della Repubblica del Niger. La nascita dei regni
haussa fu, forse, conseguenza dell'immigrazione verso il Sud di
popolazioni berbere, scacciate dall'Aïr dai Tuareg.
La società
haussa era un mondo urbano e commerciale, con coltivatori ed
artigiani che lavoravano il ferro, il rame, la lana (tessitura e
tintura). Costituirono delle città-stato, costruite di terra e
protette da alte e spesse mura, con una lingua comune così come
comuni erano le usanze. Un sistema fiscale molto elaborato
contribuì alla nascita di un'economia complessa, in cui
agricoltura e commercio si combinavano con attività di tipo
pre-industriale, con una borghesia urbana imprenditoriale e
creativa ed un'aristocrazia burocratica.
Gli Haussa
si convertirono all'Islam durante il (nostro) secolo XVI, e,
come per tutte le lingue commerciali, la funzione veicolare
della lingua haussa si è diffusa presso i gruppi etnici
circostanti (è una delle lingue africane parlate da ben 50
milioni di persone), ed ha contribuito ad estendere nella
regione lo stile d'una cultura unitaria.
Le
Città-stato degli Haussa
Nonostante
la grande importanza del traffico commerciale in direzione
nord-sud, si presume che le città dell'attuale Nigeria, si siano
formate per ragioni militari, di occupazione del territorio da
parte di gruppi invasori. Queste città sono cinte da mura
robuste e di grande lunghezza, che racchiudono anche una vasta
area non edificata e una collina naturale, o artificiale, di
discreta altezza. Le mura di Kano, erette nel sec. XI,
s'innalzavano per 12 m, erano lunghe una ventina di chilometri
ed avevano sette grandi porte. In generale i nuclei urbani non
sono divisi in quartieri a dominante etnica; a Zinder, però,
come ad Agadès, la simbiosi politica e commerciale tra i nobili
haussa e gli altrettanto nobili tuareg, gestori del commercio
carovaniero, ha generato nuclei urbani con una duplice anima.
Così a Zinder, alla cittadella haussa del Birni, sede e
proprietà del sultano haussa, si abbina la cittadella
commerciale di Zanko o Zankou, ove risiede il sultano dei
commercianti tuareg.
C'è chi
ritiene che queste tradizioni si siano diffuse sin qui
dall'antico Egitto dei Faraoni. Le città-stato degli Haussa
furono fondate prima del (nostro) anno Mille, nella regione a
nord della confluenza del fiume Benué nel Niger. Al principio
del sec. XV, col diffondersi dell'uso dei cammelli, esse
divennero importanti punti terminali del traffico che proveniva
dal Sahara. Le città si specializzarono e differenziarono le
proprie attività, pur mantenendosi ampiamente autonome l'una
dall'altra. Zaria, per esempio, era il principale mercato degli
schiavi; Kano e Katsina i principali empori a carattere
generale; Gobir, nel nord, difendeva tutta la regione dagli
attacchi dei predoni Tuareg. L'arrivo degli Europei e lo
stabilirsi di un nuovo predominio commerciale sconvolse tutto il
traffico della regione, annullando l'importanza dei percorsi
transsahariani e indirizzando dall'interno verso la costa le
correnti principali d'esportazione. Gli schiavi divennero ben
presto il "prodotto" più ricercato. Nel sec. XIX il traffico
degli schiavi era la risorsa principale dei mercati haussa; a
metà del secolo, il viaggiatore tedesco Heinrich Barth stimò che
sul mercato di Kano transitassero cinquemila schiavi ogni anno.
Gli stati haussa erano accomunati dall'uso della medesima lingua
e da importanti scambi culturali, nonché dalla comune religione
islamica. Nelle loro città, le moschee costituivano il punto
focale principale. Gli abitanti erano di diverse etnie: Arabi e
Berberi provenienti dall'Africa settentrionale avevano i loro
quartieri, così come i differenti gruppi locali. C'erano
quartieri di artigiani, organizzati secondo le loro attività. Le
abitazioni dei vari gruppi erano disposte in quartieri a spicchi
radiali, intorno ai tre centri del potere: il palazzo
dell'emiro, la moschea e il mercato. Le mura delle città erano
alte sino a 15 m e gli ingressi erano guardati da porte
fortificate. Grandi viali univano le porte con il centro città,
destinati a facilitare i flussi commerciali, il passaggio dei
militari e le grandi processioni religiose.
L'architettura delle città colpisce per la diversità rispetto ai
villaggi circostanti. Case e mura di cinta, terrazze, tutto
nelle città è fatto d'argilla, mentre nelle campagne i materiali
vegetali sono usati per i tetti e per le recinzioni.
L'architettura haussa
Le case
haussa sono conosciute in tutto il mondo, grazie al rinato
interesse per le costruzioni in terra cruda, con le decorazioni
delle loro facciate, dipinte e in bassorilievo, i tipici
ornamenti che si stagliano in alto, contro il cielo, come merli,
a forma di "orecchie di coniglio" (ma il nome localmente
attribuito, zanko, significa "cresta"). Le "orecchie di
coniglio", poste agli angoli dei cornicioni, sono state
interpretate come simboli di spade o simboli fallici.
Il disordine delle case all'interno di queste città aveva una
ragione difensiva: lo straniero si perdeva facilmente e
l'intruso cadeva in trappola. Una tale concezione difensiva
esisteva anche nelle città europee del Medioevo e si ritrova in
diverse parti del continente africano.
Le tipiche
case a cortile centrale circondano il centro urbano, costituito
generalmente dal grande palazzo reale, la moschea e il mercato.
Passaggi pedonali stretti e serpeggianti attraversano i
quartieri, fiancheggiati da muraglie di terra. All'entrata di
ogni casa si trova un locale "filtro", chiamato zaure, destinato
a ricevere gli ospiti. Da esso non si può vedere l'interno della
casa, in modo da preservare l'intimità della famiglia. Le
facciate sono decorate da bassorilievi geometrici, spesso
riccamente colorati. Di solito solo la facciata intorno alla
porta principale è decorata, ma i proprietari più ricchi si
permettevano di decorare tutto l'esterno della casa e talvolta
persino i muri interni con arabeschi colorati. I motivi
decorativi somigliano a quelli dei ricami su stoffa.
Tecniche di
costruzione
Gli Haussa
conoscevano sette modi diversi per fare gli intonaci, che
vengono applicati, ancora, con le mani e vengono lisciati
accuratamente. Sulla parete rimane il segno del gesto se la
superficie non viene ulteriormente decorata con motivi
simbolici.
Nel
territorio degli Haussa, le coperture delle case erano "a gobba
di cammello" su piante rettangolari e a forma di cupole su
piante quadrate o rotonde mentre gli archi, fatti di mattoni
crudi, sono rinforzati trasversalmente con pezzi di tronchi di
palma. Sull'altipiano nigeriano troviamo vere e proprie cupole
di terra cruda, ricoperte da tetti di paglia e costruite con
mattoni d'argilla impastata con strame animale, senza far uso di
nessun sistema di centinatura: si partiva dai muri laterali e si
saliva con la volta, stringendo via via l'apertura scoperta,
sino al culmine. L'esterno delle costruzioni in terra viene
talvolta rinforzato con ciottoli, o con pezzi di mattone cotto
inseriti nella superficie.
Le costruzioni più spettacolari della Nigeria sono forse i
granai della regione di Gobir perché sono quasi sferici,
costruiti in terra cruda con mattoni di poco più di 7 cm di
spessore e del diametro di 5,20 metri.
La città di
Zinder
La città di
Zinder (Niger) è la principale testimonianza dell'architettura
haussa che ne conserva un ricco patrimonio da salvaguardare, di
storia, di tradizioni, d'architettura e d'oggetti. Una
corporazione di muratori-artisti (fabbri, tessitori e sarti) con
loro usanze, loro simboli, loro segreti e misteri che un uomo
occidentale, per quanto colto e curioso, può solo intuire, ha
fatto di queste intere facciate il proprio “simbolo parlante”:
con un proprio linguaggio, al di là del significato delle
singole figure; come i piloni d'un tempio egizio.