Guido
Angelini
Da qualche
mese (marzo u.s.), all’età di 91 anni, ci ha lasciati il Maestro
Angelini. A Tripoli, era una istituzione: chi tra di noi della
collettività non ha mai avuto a casa un pezzo dei suoi tanti
capolavori? Nella sua infinita esperienza, ha saputo mescolare i
motivi arabo-berberi con quelli del novecento europeo dando vita ad
una collezione di pregevole fattura più unica che rara.
Guido
Angelini era nato nel marzo del 1908 a Bellaria, figlio di gente che
lavorava gli orti e vivai nelle campagne vicino al suo paese natale;
frequentò la scuola di Arti e Mestieri a Rimini, applicò le sue
capacità manuali lavorando alla morsa, in fucina e al tornio. A 16
anni, a Napoli, vinse una gara di “aggiustaggio” che realizzò solo
in due ore rispetto alle sei impiegate da altri ragazzi. Divenne,
infine, cesellatore nonché creatore e coniatore di monete.
Guido
Angelini si dedica ancora giovanissimo all'arte della liuteria e nel
frattempo tenta, da autodidatta, piccole eperienze di lavoro a
sbalzo.
Nel
1936 , assieme al prof. Remo Luca, notissimo e brillante orafo viene
chiamato a Tripoli da Italo Balbo, in qualità di assistente alla
nascente Scuola Orafi di cui poi diventerà direttore
durante tutto il periodo
della guerra,cerca con ostinazione di salvaguardare la Scuola e
riesce finalmente negli anni cinquanta a portarla ad un livello di
alto prestigio, tanto che molti oggetti in oro 22kt figurano nelle
collezioni private di Reali e personalità politiche del
Mediterraneo, America e Inghilterra
Contemporaneamente lo
attira moltissimo la scultura e vi si dedica creando delle
deliziose e raffinate piccole figure in oro, argento e avorio.
La sua esperienza di
orafo gli consente di realizzare senza difficoltà l'intino desiderio
di esprimersi o commentare avvenimenti , situazioni e stati d'animo.
Nel periodo
trascorso in Libia si impegnò a sviluppare la scuola di Orafi e
Argentieri di Tripoli e ad insegnare ai giovani arabi il mestiere;
connubio che si interruppe nel 1970 quando, con l’avvento di
Gheddafi, l’intera comunità italiana dovette rientrare in Patria.
STORIA DELLA SCUOLA ORAFI E ARGENTIERI DI TRIPOLI
Nel
1935 a Tripoli
è nata la scuola Orafi e Argentieri ordinata dal Governatore
Italo Balbo, nel 1936 è inquadrata nell’istituto per
l’artigianato in Libia. Direttore il prof. Remo Luca, assistente
lo scrivente, nel 1937 il prof. Luca ha lasciato l’incarico per
trasferirsi a Roma. La direzione della scuola è stata affidata
al sottoscritto, e fino al 1940 ha funzionato per il meglio.
Durante il conflitto, vicende alterne ne hanno rallentato
l’attività, con l’arrivo degli inglesi è la fine. I locali sono
stati occupato dal comandi di polizia. Dopo aver raccolto quanto
non serviva agli occupanti, chioccia e pulcini si sono
trasferiti nei locali della prima ex scuola (in privato?, locali
che per puro caso erano liberi, perché precedentemente erano
occupato per la casa del soldato tedesco. L’incaricato delle
scuole italiane era un ufficiale inglese di madre fiorentina;
per sei mesi circa ha parlato solo tramite l’interprete, era
chiara l’impressione che non conoscesse le più elementari parole
italiane, Forse voleva rendersi conto cosa pensavamo di lui.
Una
bella mattina si è presentato in ufficio senza l’interprete ,
accompagnato solo dal suo lupo; ha parlato con tutti in perfetto
italiano. Da quel momento, dato il buon esito dell’esame tutto è
stato piu’ facile,
Conosciuta la storia della scuola orafi, ha stanziato
ventiquattro sterline al mese, fra stipendio affitto, luce, gas
e materiali occorrenti. C’era da stare poco allegri, c’è voluta
tutta la mia testarda volontà di rinascita per resistere a
quelle condizioni. Col tempo la scuola è passata al Ministero
Africa Italiana , poi sussidiata e infine in proprio. Dopo la
scoperta del petrolio è cambiata la situazione economica, la
scuola ha potuto svilupparsi con opere che vedremo in questa
raccolta.
LaLibia
nella sua storia ha subito diverse dominazioni straniere, nessun
governo d’occupazione ha sovvertito le aspirazioni di libertà
professionali. Il fabbro non ha cambiato mestiere, come pure il
falegname, il tessitore, il sarto, il ricamatore e così via;
queste attività servivano alle città e ai villaggi dispersi nel
deserto. Dal 1969 è avvenuta l’ultima occupazione da parte delle
rivoluzione. Sono finiti i profumi delle spezie nei Suk, la
gioia del turista di assaggiare un caffè turco offerto dall’uomo
dei tappeti. Il bottegone del governo fa tutto da solo.
( Guido Angelini)
ARTISTA ITALIANO IN LIBIA
Ho
conosciuto Guido Angelini a Tripoli più di cinquanta anni oro
sono. Allora nel 1936 prestavo servizio presso il secondo
squadrone Savari. Angelini invece, era una persona già molto
nota nel relativamente ristretto ambiente di Italiani a
Tripoli.
E’
difficile, a distanza di tanto tempo, rievocare l’atmosfera che
l’attuale capitale libica presenteva a quei tempi, Dirò che, a
prima vista, appariva come una città giovane, allegra, colorata,
piena di progetti e di speranze. Ogni giorno sembrava portare
con sé qualcosa di nuovo e, spesso qualcosa di eccitante. Era in
corso si esecuzione il grande progetto della via Balbia; e in
costruzione la rete di alberghi dell’ETAL. Stava sorgendo il
quartiere di Suk El Muscir . Villaggi agricoli nascevano in zone
desertiche e della costa.
Angelini ha rappresentato una parte molto importante nel mondo
culturale della nostra ultima colonia. Scultore di formazione,
nella tradizione più classica della nostra terra, egli si è
dedicato a lavori di oreficeria e di argenteria, sviluppando ed
affinando con gli anni la tradizione artistica locale e cercando
di pervenire ad una sintesi fra i motivi antichi di origine
libica e l’arte classica italiana. Nel piccolo ambiente
artistico e intellettuale della Tripoli di allora . Angelini
mostrava già una personalità spiccata ed era molto noto; tanto
che un giovane tenente dei Savari,<quale ero io, poteva cercare
un contatto e uno scambio di vedute con lui.
Angelini operava allora presso la scuola orafi ed argentieri,
istituita a Tripoli nel 1935, scuola di cui assunse la direzione
nel 1937. Tale direzione egli mantenne fino al suo rientro in
Italia.
Ritornai a Tripoli nel 1949 quale rappresentante del governo
Italiano: e cioè quale primo funzionario della metropoli che,
dopo la seconda guerra mondiale, si recasse ufficialmente in
quelle terre, valorizzate da noi.
L’ambiente, l’atmosfera, le cose stesse erano molto cambiate :
La guerra l’occupazione militare alleata, la stessa
provvisorietà dell’amministrazione britannica, avevano pesato
sulle prospettive del futuro. La città ed i suoi abitanti
sembravano uscire con difficoltà da n periodo grigio e
logorante.
Nelle sue pagine lo stesso Angelini rievoca, del resto questo
tempo di avvenimenti drammatici e di profonda incertezza. La
Tripolitania del dopo guerra si presentava come una società
irrequieta ed incerta soprattutto se confortata con quella che
avevo conosciuto nel 1936.
L’Opera che Angelini aveva svolto, era tuttavia continuata ed
aveva dato i suoi frutti, sia dal punto di vista di nuovi
elementi, idonei a portare avanti quanto era stato loro
insegnato, sia dal punto di vista di un arricchimento
dell’espressività congiungendo armoniosamente elementi sia
italiani che locali.. Basta scorrere il catalogo delle opere
dell’Angelini per renderci conto della continua ed interessante
evoluzione della sua arte e per comprendere quanto essa abbia di
originale ed esemplare.
Lasciai Tripoli poco dopo che essa raggiunse la sua indipendenza
(fui infatti il primo incaricato d’affari italiani presso il
Governo di Idriss El Sedussi) .
Con
l’indipendenza libica si aprì un periodo nuovo, anche se breve,
di intesa collaborazione italo-libica; periodo che portò ad un
nuovo fiorire di iniziative.
La
presenza di Angelini a Tripoli f particolarmente significativa
proprio in quegli anni anche perché esprimeva, quasi
simbolicamente la possibilità e la fecondità di un legame fra le
due culture, italiana e araba. Questa esperienza è stata
bruscamente interrotta. Credo che le parole dello stesso
Angelini possano indicare quanto grave e drammatico fu per lui
abbandonare una terra, cui aveva dato tanti anni di lavoro
passione e sacrifici. Vorrei soltanto aggiungere che sono
convinto che, al di là degli alterni avvenimenti di questi
ultimi decenni, i rapporti fra italiani e libici sono imposti ad
ambedue i nostri popoli dalla storia e dalla geografia; e che
una nostra collaborazione con la Libia non può non andare nel
senso di una tradizione, ancor più che secolare, millenaria,
In
questa storia di indipendenza fra le due culture, la figura di
Angelini rimarrà certamente. Come essa rimarrà senza dubbio e
concretamente, nell’opera e nell’animo degli artisti e degli
orafi libici, che non potranno non ispirarsi agli insegnamenti
ricevuti da un rappresentante così tipico e così sensibile della
nostra arte.
Dall’Ambasciatore Roberto Gaja
La
scultura di Guido Angelini si presenta come il frutto di un
dominio pieno della materia sensibile, di una efficacie
elaborazione delle correnti del vivente, il tutto filtrato
attraverso una sapienza che è come l’intima espressione della
corrente figurativa italiana particolarmente rivelatesi nelle
opere del rinascimento.
Frutto interiore divenuto quindi esperienza profonda, colta ed
intima saggezza e perizia di artefice, ma in una gamma in cui
la maestria della tecnica è superata dalla grazia innata, ove si
possono forse rintracciare residui dell’eleganza decorativa
dell’orafo, quale il nostro artista è, ma riscattati e
completamente risolti in valore estetico.
Tutto questo, però, proprio perché l’opera dello scultore
Angelini rappresenta un estremo e notevole sviluppo della
cività figurativa rinascimentale della più pura tradizione
mediterranea, non è che il fondamento ed il presupposto.
In
ogni singola scultura ciò che si eleva come il compimento e la
risoluzione sintetica delle qualità precedentemente presentate,
è dato dalla purezza e della mirabile linearità con cui il
sensibile riceve la sua idealizzazione nella forma, che ha così
la semplicità delle cose grandi, l’aura archetipica
dell’assunzione totale nel cielo dell’arte.
La
superba assolutezza. Pur nelle ridotte proporzioni delle sue
figure, ha qualcosa di sorprendente e il commovente, rarissimo
nel nostro tempo, e fa pensare ad una discendenza del più puro
Cellini, dal Cellini dell’eleganza aerea e della apollinea
misura del “Perseo”, ad un collegamento ideale con l’euritmia
del “Mercurio” del Giambologna, con l’essenziale levità di
Maillol, con l’arcana purità di Messina.
Con
ciò si è già risposto all’eventuale obiezione che si potrebbe
fare a queste righe, cioè di sciogliere lodi ad un sapiente ed
elegante classicista, ad un ripetitore, sia pure molto dotato,
di una maniera antica ed ormai superata dalla esperienza
plastica della modernità.
Infatti Guido Angelini si rileva una artista moderno per la
purezza archetipica, per la intensità essenziale, con cui il
sensibile è insferato nella dimensione dell’idea, per l’ansia
metafisica di pervenire ad una regione di valori puri, in cui
inserire l’esperienza della terra, persino per la sottile
vivacità ironica con cui è colto il rapporto tra momentaneo e
permanente, tra attimo ed eternità. E’ veramente cosa
stupefacente, e forse più consapevolmente da ascrivere, da un
lato alla situazione di oscurità, di confusione e di tormento in
cui si trova la ricerca artistica contemporanea e, dall’altro,
alla singolare e francescana umiltà dell’artista (prova della
sincerità della sua ispirazione), il fatto che uno scultore di
tale statura sia potuto rimanere ignorato fino ad oggi.
(Alessandro Sbardelli)
La
Libia non ha una figura che la rappresenti;è anche logico perché
paese musulmano. La medaglia dell’aquila bicipite magiara di
Francesco Giuseppe d’oro fino, è la sovrana fra tutte, non
escluse le turche anch’esse belle.
Parlando confidenzialmente con i giovani impiegati del governo
libico, questi mi hanno accennato al fatto che la magiara è si
una bella medaglia, ma quella crocetta sopra lo stemma stona in
un paese musulmano. Inoltre mi suggeriscono un avvenimento
storico allo scopo di indicarmi un motivo per una medaglia
studiata e stampata in Libia. Ho creato così la figura di donna,
dal portamento austero e superbo, che impersona il tema
suggerito. Sul retro, una scritta che ricorda l’indipendenza
libica.
Non
viene accettata dai libici per motivi religiosi, nel contempo è
un vero successo per i non musulmani.
Alla
mostra dell’Angelicum di Milano è premiata con medaglia d’oro
nell’anno 1953
Dono del Sindaco
Caramanli al Re Hassan del Marocco in vista a Tripoli
a
Nell'ottantesimo
anno di età Angelo Lugli è stato festeggiato da familiari,
collaboratori ed amici. Al ristorante "Le lanterne" a Tripoli
una cena in suo onore e un dono. Che fare per un orologiaio,
intelligente, simpatico e stimato da tutti? Non poteva mancare
un quadrante d'orologio, un pendolo. Il cavallo,tranquillo
trottatore. è l'indice di un ritmo che tende a misurare il tempo
con assoluta precisione
Da
poco trasferito
a Tripoli, nel 1936 ho dedicato a mia mamma la prima opera in
avorio.Ancora oggi non so perchè nella mia mente sia maturata
l'idea di realizzare un'opera cosi' diversa dalle normali
presentazioni fra madre e figlio. La mia vita così diversa da
quella vissuta in Italia mi sembrava un sogno;ogni sera all'ora
del tramonto, dallo spalto del castello un colpo di cannone
salutava il giorno. Per un minuto il movimento della città si
fermava, i vetturini in piedi sulle carrozze fermi come statue,
i cavalli che sapevano tutto si fermavano di colpo. Sembrava una
preghiera di ringraziamento alla luce del giorno che dolcemente
si spegneva per cedere il posto alle ore di riposo. La mia
famiglia lontana, gli amici, mia madre che accarezzava un figlio
invisibile, sono certamente la spinta per realizzare il piccolo
manufatto.
Mentre attendevo
i miei allievi per l'inizio delle lezioni contemplavo quanto vi
era di bello e di vetusto innanzi al mio porticato:o. Di fronte
un fonduco semi abbandonato;un fabbro vi aveva la bottega; il
canto dell'incudine come segno di vita si perdeva nell'aria. A
sinistra il sole illuminava tutto. Asserragliata fra le vie, una
piccola moschea sempre chiusa (forse era il ricordo di un
passato ormai lontano) racchiudeva in sè il mistero del culto,
il rispetto dei viventi; era però ben vestita di bianco; una
perfetta sintesi di purezza e semplicità poetica. Fra le genti
che al mattino passavano innanzi, una bimba non ancora
adolescente, vestita e pettinata con cura, camminava svelta
verso la scuola. Ho modellato la presente testina ispirandomi
alla semplicità di quella figurina, che nel migliore dei modi
presentava l'innocente purezza ancora lontana dall'inevitabile
avventura della vita. Oggi dopo tanti anni, ella mi presenta la
mia Africa, perduta per sempre non solo per me, ma per tutti.
Girandomi a destra l'Arco di Marco Aurelio, sebbene il marmo
fosse corroso dal tempo, l'architettura romana era ed è ancora
un grande insegnamento; più avanti la Moschea di Gurgi, dal
minareto altissimo come freccia, sembrava muoversi alla
conquista del cielo. Le case della vecchia città, la via dei
forni, le botteghe di tutti i generi, erano il vero paradiso di
un piccolo mondo, che nessuno sapeva
di
possedere.
Fra i lavori prodotti dai nostri laboratori, questo candeliere
vuole rappresentare il simbolo vegetale della Libia, la palma.
Non sarebbe stato possibile uno studio del genere, se antichi
monili tuareg (oreficerie del deserto) non fossero esistiti: Ma
fin quando si troveranno questi reperti? i vecchi pregiati
manufatti ridotti in rottame per logorio causato dalle sabbie,
vengono fusi e non più ricostruiti perchè
troppo laboriosi. Negli ultimi tempi, noi abbiamo riprodotto
qualche elemento e sottratto alcuni pezzi al crogiolo
Nella storia del genere umano mancava la Dea del
cinema. Eccola! -una pellicola nasce fra i cappelli per uscire nello spazio alla conquista del mondo.
Lo
stemma
è un augurio per la prosperità del lavoro, cui ha sempre attinto
il popolo italiano, in patria e sulle strade del mondo. L'opera
-in oro cesellato a sbalzo - è stata eseguita nel 1935
Nei giorni delle
sommosse degli arabi contro gli ebrei, abitavo nei pressi della
cattedrale di Tripoli; come in altri tempi udivo le campane e il
lento suono dell'Ave Maria, che dal campanile si perdeva lontano
nello spazio desertico e del mare. Era un lamento di dolore che
annunciava la notte, le ore più tristi e prive di ogni luce. In
quelle tragiche notti lunghe a non finire ho inciso il volto di
una donna alla quale ho cercato di imprimere il mio
disappunto:<Chi più di una madre può rappresentare l'espressione
dolorosa per la perdita dei figli, non solo suoi?
Sebbene la mia nuova Tripoli fosse piacevole, un pizzico
di nostalgia della mia Romagna era presente come in questa
muliebre figurina in avorio, dove traspare atmosfera
musicale; infatti sono parzialmente visibili un arco
e
un violino.
Araba bianca - così definita perchè d'avorio Non si esclude che
le arabe siano state bianchissime, specie in Libia. Quello che
interessa sopratutto è il modo disinvolto e morbido in cui si
adagiano sul cuscino . Ciò denota un atteggiamento abituale che
è proprio di quella gente. Un bracciale a fascia, gli orecchini,
le ciabatte presentano le loro abitudini di vita.
Nel tempo del conflitto, un pensiero era sempre presente nella
mia mente:la non violenza.Gesù mi appariva come una stella
caduta sulla terra.
Ho
eseguito l'opera in avorio, la croce su ebano e su di essa un
brillantino. La materia più nobile conosciuta dall'uomo, fa da
ornamento a questa piccola opera.
Verso
la fine del conflitto, la vita si risvegliava quasi dimentica di
tante tragedie (forse era giusto così) ma io ero turbato,
sentivo il bisogno di ricordare "vittime e superstiti":Ho
modellato in cera e riprodotto in argento cesellato (forse) il
più piccolo monumento ai caduti in guerra: E' alto 9 cm. Il
prof. Giovanni Aliquò, in missione quale commissario d'esami a
Tripoli (era il 15 ottobre 1951) cosi' ha sentito è scritto:
Mater
dolorosa di Guido Angelini.
L'opera
è una perfetta intesi degli avvenimenti politico sociali. La
donna, mutile, trae, nella sinistra mano, a simbolo di un
retaggio, un elemento da campo, ultimo ricordo di un lontano ma
profondo vincolo d'amore, mentre nella destra spalla scende
sottile ravvolto un velo che copre la mutilazione e al qual si
abbarbica un bimbo mutilo anch'esso, con le dita scarne e
sottili delle mani affondate nelle membra ancor fresche di lei;
chiede fora protezione e amore. Il gruppo simboleggia il
martirio del combattente e dell'inerme e dell'innocente colpito
ugualmente dalla bufera ed esprime nella donna, dalle sembianze
vigorose e dolci ad un tempo, l'umanità che faticosamente
trascinando il fardello delle proprie colpe cerca, spera
l'avvenire. questo sforzo è magnificamente espresso in quella
linea ideale che partendo, inclinata, dall'estremo lembo
dell'elmetto, passa sul teso braccio e prosegue fino al campo
disteso e mirante il cielo. Tutto un movimento pervade le membra
della donna, la quale sembra sollevi l'umanità caduta e perita e
quella affranta e sopravissuta come per indicare che la vita
continua. Il bimbo è questa la vita; esso non ha la mamma
infatti è mutilo, ma ne trova un'altra che lo raccoglie, lo
difende . Non è chiusa nel suo dolore perchè è confortata dalla
giovinezza vibrante nelle membra ancora leggiadre e nella
speranza che spira dallo sguardo. E' una composizione veramente
epica che l'artista ha vissuto, vi è la guerra con i suoi orrori
e olocausti, l'amore materno e civile, la speranza che anima e
perpetua la vita e spinge l'umanità a proseguire avanti
Dono a
Re Idris I in oro stile Tuareg foderato internamente con pelle
sudanese, dono dei musulmani della Cirenaica
Nell'ultima
guerra fra Israele e l'Egitto la città di Tripoli era
paralizzata per lutto. Io mi sono chiuso in laboratorio.
Meditando sull'accaduto e su quello che è la vita nel mondo, mi
è venuto spontaneo di pensare che in quel momento c'era chi
nasceva e chi moriva, chi rideva e chi piangeva e chi, potendo,
voleva stare in pace. E' nata l'opera dalla punta di una zanna
d'avorio che l'amico Antonio Ghirandelli interpretava così:
Sabbie roventi
bevono il sangue
di genti pazze
che fanno la guerra
Ben altre sabbie
io vo cercando
sotto il sole di altra terra
In faccia al mare
sabbia dorata
sotto la brezza di sciroccale
In mezzo a gente
che sosta in pace,
lontan dall'odio,
lontan dal male.
Dopo
l'ingiustificata cacciata degli Italiani dalla Libia, è nata una
medaglia ricordo che si ispira a Don chisciotte della
Mancia; con la sola differenza che il novello Don Chisciotte è
tutt'altro che un cavaliere errante.
Era allo
studio uno stemma con pietre preziose per la casa
reale;provvisoriamente era in uso lo stemma della città di
Tripoli. La caravella, più la corona, rami di olivo e di
quercia.
Medaglia
d'oro (unico esemplare) eseguita per una gara di velocità, sul
giro, della pista sopraelevata in cemento di Tripoli: Antonio
Maspes ha vinto e battuto il record.
Fra i
tanti lavori eseguiti a Tripoli, mi fa piacere ricordare il dono
che l'ambasciatore d'Italia Pierluigi Alverà ha ordinato per
onorare l'opera del primario dell'ospedale dr. Domenico Cicogna.
La cerimonia si è svolta nella sala del teatro Uaddan. Il dr.
Cicogna ha tenuto una conferenza sul tema "la conquista della
cardiochirurgia". L'ambasciatore Alverà ha esteso un elogio a
tutta la classe medica, che opera in Libia con grande
professionalità e senso del dovere, ha ricordato gli operatori
di tutti i settori e gli artisti, famigli alla quale lui stesso
appartiene. Il giornale di Tripoli del 17 ottobre 1963 ha dato
ampio spazio all'avvenimento pubblicando anche la foto della
consegna del dono la "Minerva d'oro"
Danzatrice del caffè orientale di Suk El Muschir a Tripoli. Gli
spettacoli erano organizzati per i turisti. Le ballerine erano
di scuola orientale, nelle movenze portavano una nota esotica
molto apprezzata dai turisti.
Il
medaglione è uno studio illustrativo della vita operaosa e
pacifica in Libia, fino al 10 giugno 1940. Gli anelli che
coronano la testa, rappresentano la feconda collaborazione fra i
libici e tutte le comunità cola residenti.
La
medaglia ha un diametro di mm. 40 . E' caratterizzata da una
originale corsa di cavalli che si snoda in cerchio intorno ad
una elegante iscrizione in arabo, attestante lo studio e la
realizzazione in Libia. Sul retro un'altra iscrizione ricorda
uno dei principi fondamentali della cultura: "L'arte è
l'espressione universale per l'unione dei popoli" Questo
messaggio voluto da Guido Angelini vuole ricordare il valore e
l'importanza che hanno tutte le attività umane, tese alla
ricerca dei valori eterni di ogni manifestazione artistica. La
scelta e la cura dell'esecuzione, di questa piccola ma pregevole
opera nasce dal desiderio dell'autore di esprimere la sua
fiducia e il suo rispetto alla cultura araba. L'approvazione da
parte del pubblico, data dalla felice sintesi del motivo dei
cavallini e dell'iscrizione, morbidamente fusi in un sottile ma
corposo bassorilievo, è la testimonianza do un felice risultato,
che soddisfa chi desidera un ricordo tipicamente libico.
Architetto Giovanni Ioppolo, Archeologo
Tripoli
1965.
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