TRIPOLI
“Tarabulus el beida”
Tripoli la bianca,
D’un bianco abbacinante
Come la neve al sole,
così ti ricordo.
Vecchia mia città
Dove sono nato,
ho mosso i primi passi
e sono cresciuto,
dove ho lasciato
metà della mia vita.
Dolce mia città:
albe dorate e silenziose,
cielo azzurro, terso,
come fonte di montagna,
tramonti rossi, ardenti,
come il fuoco d’u incendio.
La notte, ad occhi aperti,
sogno le tue palme
e l’ombre riposanti;
calde come l’oro
sogno le tue spiagge
che il mare trasparente
poi lambisce.
Sogno i succulenti datteri d’autunno:
i bronz enormi e scuri,
gli ortob paffuti e ambrati,
i fichi gocciolanti come il miele
e i gelsi tondi,
bianchi, gialli, rossi e neri……
Nell’ossa è penetrata
La voce del Muezzin
Che a sera ed al mattino
I fedeli,
chiamava alla preghiera,
o la voce delle campane
della vicina Cattedrale,
suonar a festa
o, per la morte d’un compagno
E Busaddia,
alto, solenne, allampanato,
di stracci ricoperto
e d’ossa sparso il petto,
dai capelli unti e riccioluti,
dalla fluente barba
e dallo sguardo buono e fiducioso:
era mio amico
e mi voleva bene
ed io a lui;
gli regalavo un pane
e lui a me,
lo sguardo buono e fiducioso:
E il frittellaro,
che con stentorea voce
urlava “sfinz”,
sfinz buone e croccanti,
ch’egli portava
in un enorme copricapo
a cono metallico, forgiato.
E Raffaele, l’amico ebreo,
che a sera,
dalle belanti caprette,
accompagnato,
prima che il sole divorasse il mare,
il latte mi mungeva.
Care caprette……
Dalle mammelle gonfie e turgide
Come fiaschette penzolanti che,
con mano titubante , accarezzavo.
Come scordare infine
La Madre mia adorata
E i tanti, tanti amici
Che nel tuo ventre
Riposano per sempre.
Oggi brizzolato,
anzi, quasi bianco,
vorrei tornare da te,
solo una volta ancora,
cosi’ come la rondine
torna al suo nido.
(Lino Boccia)
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