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Settimio Severo

 

Dopo aver parlato di Leptis Magna, non si può omettere la biografia dell’imperatore romano Settimio Severo e della sua dinastia, l’ultima grande casata imperiale prima dell’anarchia militare.  Con lui,  infatti, il processo di degrado delle istituzioni subì una battuta d’arresto perché resse con mano salda le redini dell’Impero. Nato sulla costa del Nord Africa è rimasto sempre ad essa affezionato anche perchè parlava il latino con pesante accento berbero.

 

 

Settimio Severo appartenente all'ordine equestre,  nel 171 iniziò a Roma la sua carriera politica;  fu governatore della Gallia Lugdunense e poi della Sicilia, in seconde nozze sposò la siriana Giulia Domna, appartenente ad un' antica e potente casta di sacerdoti di Emesa (Homs di Siria). Nel 191 ebbe   il comando militare in Pannonia e dopo la morte di Pertinace fu acclamato dalla legioni presso Carnuntum (Petronell in Austria) nell'aprile 193. Sceso in Italia si accordò prima con Clodio Albino proclamato in Britannia e Gallia nominandolo cesare, poi nel 194 sconfisse in Oriente l'altro rivale Pescennio Nigro. Sostituì i pretoriani colpevoli dell'assassinio di Pertinace con soldati delle sue legioni e fu così interrotta la tradizione che voleva le coorti pretorie costituite esclusivamente da italici.



 

 

 


Nonostante l'ostilità degli aristocratici che tramavano con Clodio Albino, Settimio Severo riuscì a sconfiggerlo presso Lione nel febbraio 197 rimanendo così solo signore dell'Impero. Cercò la definitiva consacrazione del suo potere attraverso quella che era per il mondo romano la prova di gloria suprema: la spedizione orientale. Tra il 197 e il 202 riuscì a consolidare le frontiere ottenendo notevoli successi come la presa di Seleucia, Babilonia e Ctesifonte (vicino Bagdad).

Quattro anni di guerre civili avevano lasciato un retaggio pesante e quando Severo tornò a Roma nel giugno del 97 fece giustiziare 29 senatori e tenne per sé le loro proprietà perchè si sentiva tradito dal Senato; pose la sua fiducia solo nell’esercito, tanto che  aumentò,  di un terzo, la paga ai soldati e permise loro di sposare donne locali.

Gli ultimi giorni di luglio Severo tornò in oriente per combattere contro i Parti e ottenne delle brillanti vittorie.  Ctesifonte, la città più importante del regno di Babilonia cadde, nuovamente, nelle mani dei Romani e questa volta la città fu saccheggiata e bruciata, e i cittadini massacrati. Spese diversi anni per risolvere i problemi e conquistare i re locali; andò in Egitto e in Antiochia e non tornò a Roma fino al 202.

 

Il fatto che Severo poté stare via da Roma cinque anni senza che nessun nuovo pretendente al trono si facesse avanti ci fa comprendere come fosse stato efficace nell'intimorire il Senato. Dopo aver superato alcuni problemi in Africa, l'imperatore si ritirò per molto tempo in Campania, governando l'impero con una piccola corte e godendosi la vita rurale dell'Italia. Il suo regno è uno spartiacque nella storia dell'impero perchè eliminò per sempre l'influenza militare dell'Italia nelle cose italiane stabilendovi una legione proveniente dal Danubio e formando la Guardia pretoriana con tutti elementi della provincia danubiana che, da quel momento fu messa alla pari di qualsiasi altra provincia. Per l'amministrazione dell'impero si servì di moltissimi elementi dedotti dalla Siria, la patria della moglie e dall'Africa, sua provincia nativa. Egli ridusse l'influenza dei senatori tutte le volte che gli fu possibile e con la creazione della proprietà privata del principe (res privata principis) dopo la confisca dei beni dei senatori giustiziati ottenne una grande ricchezza personale che fece tutt'uno con il tesoro statale.

 Finanze personali e dell'imperatore e finanze statali furono mescolate per sempre; i tribunali che tradizionalmente trattavano argomenti di competenza senatoriale divennero tribunali imperiali, le decisioni dell'imperatore acquisivano valore legale senza bisogno dell'approvazione di nessuna assemblea. A partire da Severo il titolo di Dominus venne ad essere generalmente usato per l'imperatore.

Niente di tutto ciò era proprio nuovo, ma sotto il regno di Settimio Severo  ottenne forza maggiore e diventò una questione politica. In ogni caso ciò che Settimio Severo decise non fu mai disfatto dagli imperatori seguenti e così, ancora una volta, sanguinose guerre civili produssero un comandante che cambiò il corso della storia di Roma.

Morì ad Eboracum (York) durante una spedizione contro i Caledoni.

 

Religione di Stato e Religione privata

Nonostante Settimio Severo non fosse di cultura strettamente romana, rispettò la religione dei padri dell’impero e fu il più tradizionalista tra gli imperatori. Istituì le grandi feste secolari del 204 sull’esempio del cerimoniale in uso al tempo di Augusto.

 

Nelle sue monete sono raffigurate divinità nostrane e nell’arco del Foro, Settimio Severo è il valoroso comandante alla guida delle truppe; nel rilievo di Palazzo Sacchetti viene rappresentato come il primo fra i pari intento a espletare funzioni politiche; nella Porta degli Argentari è il Pontefice Massimo, la più alta carica religiosa.

 

Nelle province, invece, la situazione era abbastanza diversa, specialmente in  quelle orientali e africane; a Leptis nell’arco a lui dedicato viene rappresentato come Giove Serapide. Nemmeno la moglie tentò mai di introdurre le divinità orientali, ma ciò che chiese e ottenne fu una rivoluzione sociale che le permettesse di presenziare alle cerimonie ufficiali sia religiose che militari e civili.

 

Ma accanto alle rigide tradizioni religiose, si sviluppa la ricerca di un misticismo consono alle esigenze spirituali del popolo romano di ogni epoca che ha origine in Oriente e che per vie più o meno sotterranee giungeva a Roma e si introduceva nel Pantheon religioso. La prima divinità ed essere introdotta  fu Cibele seguito da Mitra il dio persiano. Più lenta e contrastata anche se inesorabile fu la penetrazione a Roma dei culti egizi, con Iside in primis il cui altare, in Campo Marzio, venne più volte bruciato ma sempre ricostruito.

 

Culti misterici, salvazionisitici e la speranza di una vita oltre la morte caratterizzano la religiosità privata di un popolo che apre la strada alla più mistica tra le religioni del tempo: il Cristianesimo.

 

Architettura e monumenti

Severiani

 

Dopo il grande incendio che, sotto il principato di Comodo,  devastò interi quartieri di Roma, Settimio Severo fece iniziare una intensa attività edilizia per ricostruire tutte quelle opere antiche che erano state distrutte.

 

Dal grande portico attorno ai templi di Giove e Giunone, in Campo Marzio, al Pantheon, al tempio di Vesta e alla casa delle vestali nel Foro romano, Roma fu un grande cantiere a cielo aperto. Settimio Severo non si limitò a ricostruire, egli progettò ed eseguì la costruzione di nuovi edifici improntati sulla grandiosità dell’architettura dell’oriente ellenistico e del nord Africa.

 

Il Settizodio

 

Situato all’angolo sud-est del Palatino, per mostrare lo splendore della città e del palazzo Imperiale a tutti i viaggiatori che giungevano a Roma dalla via Appia, l’imperatore fece costruire il Settizodio, una struttura dalla sezione a forma di L, con tre piani sovrapposti, ciascuno dei quali contornato da colonne, una monumentale facciata adornata con colonne lunga 90 metri, con al centro tre nicchie fiancheggiate da colonne e due avancorpi laterali.

 

La decorazione marmorea era ricchissima e nei ripiani, si alternavano vari tipi di granito (verde, antico di Laconia, il giallo di Numidia e il cipollino), mentre tra le colonne vi era un’alternanza di  sculture e fontane.

 

il Settizonio (ricostruzione)
ricostruzione del Settizodio

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A differenza di molti altri monumenti scomparsi, il Settizodio è frequentemente menzionato dagli autori antichi, a cominciare dal biografo di Settimio Severo, Elio Spaziano, il quale, però, non dice nulla riguardo all’origine di tale definizione che a parere degli archeologi doveva avere la duplice funzione di scenografico ingresso al quartiere imperiale, nonché di maestoso ninfeo, essendo decorata con statue, piante e fontane.

 

Il nome dell’edificio si ricollega ad una simbologia astrale con riferimento al sette, numero magico per gli astrologi, il che conferma l’adesione dell’imperatore ad una dottrina che gli era particolarmente cara e che probabilmente proveniva proprio da Leptis. Lo dimostra il fatto che  volle che il suo oroscopo venisse dipinto sul soffitto della sala delle udienze imperiali.

 

Si può immaginare che dopo l’abbandono del Palatino come sede della residenza imperiale, il Settizodio dovette risentire dell’incuria e dei terremoti, finendo per diventare, durante tutto il corso del medioevo, una cava di materiale da costruzione prezioso e soprattutto gratuito, che provocò la spoliazione di tutti i marmi che si trovavano a portata di mano.

via delle quattro Fontane

Una delle Quattro fontane costruita con il marmo

Del Settizonio

 

L’arco del Foro

 

Nel cuore dei Fori romani si erge l’arco dedicato a “Lucio Settimio Severo Pertinace, padre della Patria, partico arabico e partico adiabenico…..e dell’imperatore Marco Aurelio Antonino, figlio di Lucio …per aver rafforzato la repubblica e allargato i confini dell’impero…” che si può leggere nel frontone principale dell’arco. La sua costruzione risale al 203 d.C., per celebrare le vittorie dell’Imperatore in Partia (Iran, Iraq) e in Arabia

 

Oggi resta ben poco di quello che avrebbe dovuto celebrare la gloria e la potenza dell’imperatore africano ma la dettagliata descrizione delle fonti, la si  trova anche negli eventi narrati con minuziosa particolarità da Dione Cassio ed Erodiano, due storici greci contemporanei.

 

Si tratta di un arco a tre fornici, alto 20 metri e 88 cm, largo 23,27 e profondo 11 metri circa; l’arco era di travertino e mattoni, interamente ricoperto di marmo mentre la sua superficie è formata da 4 colonne composite per facciata. Al di sopra dell’arco vi era una quadriga di bronzo e alla sommità dell’arco vi era una scritta dedicata a Settimio e ai suoi due figli: Caracalla e Geta, ma dopo la morte di Settimio, Caracalla fece assassinare il fratello e cancellare il suo nome dall’arco.

 

Ogni particolare dell’arco risulta accuratamente studiato dai teorici della propaganda per esaltare le imprese di colui che aveva ricalcato le orme dei grandi condottieri del passato. Di conseguenza, le azioni raffiguranti sono, ovviamente, tutte vittoriose e fanno seguito all’esaltazione delle truppe romane e le loro macchine belliche con relativo assedio e  sottomissione delle città ribelli di oriente e i prigionieri in catene che fa immaginare l’avanzata romana in terre lontane e sconosciute.

 

La Porta degli Argentari

 

 A San Giorgio al Velabro, a Roma, si trova un altro arco Severiano che però, data la sua struttura fa pensare più ad una porta attraverso la quale si accedeva al Foro Boario.

 

Eretto nel 204. il monumento fu dedicato alla famiglia imperiale Severiana dalle corporazioni dei banchieri (argentarii) e dei mercanti di buoi (negotiantes boarii) in segno di gratitudine e fedeltà. Il monumento, alto 6,8 metri e largo 5,86 metri è formato da due pilastri in muratura rivestiti di travertino che sostengono una architrave, sempre in marmo, sopra il quale erano poste delle statue. I pilastri sono decorati con pannelli in rilievo inquadrati da lesene angolari ornate con foglie d’acanto e insegne militari, sormontati da capitelli con fregi rappresentanti aquile e Vittorie. In quelli inferiori sono rappresentasti i sacrifici di tori, mentre in quelli interni sono rappresentati Caracalla e dall’altra due soldati con un prigioniero barbaro e ancora Caracalla che compie una libagione su un altare come fa lo stesso Settimio Severo e sua moglie e dove egli è ritratto come Pontefice Massimo e tutelare del culto tradizionale di Roma

 

 

Particolare dell’arco degli Argentari

 

 

L’Arco quadrifronte a Leptis Magna

 

Tra il 202 (ritorno dall’oriente) e il 208 (partenza per la Britannia), quindi durante il terzo secolo d.C. periodo relativamente tranquillo in cui ebbe  il tempo di riorganizzare l’amministrazione di Roma e le sue finanze, l’imperatore Settimio Severo sente il bisogno di ritornare a Leptis Magna.

 

La città, grazie al suo personale interessamento, è un cantiere di lavori a partire dal rifacimento del porto, del foro, di un grande faro la cui maestosità eguagliava quello di Alessandria e delle terme; ma il monumento che più celebra la sua potenza  è l’Arco quadrifronte, posto all’incrocio fra il decumano massimo e la cosiddetta via dei Trionfi perché oltre ad esso, sono presenti altri archi in onore di Adriano e Tiberio.

 

L’Arco di Settimio Severo è un monumento imponente dove ogni suo lato presenta, ai fianchi delle arcate, due agili colonne corinzie che sostengono architrave, fregio e guglie; a coronamento è posto un attico decorato da quattro grandi rilievi.

 

La sua struttura in calcare era rivestita in marmo ornato da ricchissimi rilievi che, dal punto di vista della propaganda politica, ne esaltano i punti salienti della ideologia Severiana ben diversa, se non addirittura in contrasto, con la pratica ed economica mentalità romana.

 

Le vittorie ai lati delle arcate sono un riferimento ai successi nelle campagne contro i Parti mentre le aquile che sostengono la cupola e quelle poste su alcuni capitelli rappresentano il potere imperiale.

 

 Sul  frontespizio dell’attico  del monumento,  erano quattro lunghi pannelli a rilievo, raffiguranti le sue imprese belliche e civili. Il pannello che raffigura Settimio Severo  con i figli sulla quadriga, mentre sfilano davanti a loro i prigionieri barbari si riferisce alle vittorie partiche.  Lo stesso tema è re-duplicato nel pannello opposto con l’aggiunta di Giulia Domna (moglie dell’imperatore) come Vittoria. Un altro pannello situato nelle facce interne dei piloni, commemora le sue campagne orientali con particolare riferimento alla città di Nisibi, la roccaforte romana che attaccata dalle truppe partiche, resistette fino all’arrivo dei rinforzi e che costituì il “casus belli” che diede inizio alle guerre partiche e romane in generale.  La grandezza della casa imperiale non si manifesta solo nel valor militare ma anche nella pietà religiosa e in quella dell’armonia e della concordia interna nonché quella del diritto della successione dinastica; raffigurazioni, peraltro, già in uso a Roma, ad iniziare da Furio Camillo, per sancire la pace fra patrizi e plebei e poi dopo l’assassinio di Nerone.

 

Settimio Severo, dunque, non volle essere da meno e nell’arco di Leptis fa raffigurare se stesso e i suoi due figli (Caracalla e Geta) con le destre unite tra loro  e assistiti dagli dei protettori della città (Liber Pater ed Ercole) mentre Giulia Domna, poco distante veglia sulla “sua” dinastia.

 

Quindi, concordia, virtus e pietas sono raffigurati nell’arco leptitano di Settimio Severo onde poter dare l’impressione ai suoi cittadini di poter  vedere l’imperatore nell’esercizio delle sue funzioni sia in guerra che in pace e dà la possibilità agli archeologi di poterne riassumere la grande esperienza dell’oriente greco senza trascurare le radici italiche.

 

 

 

 

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         

LETTURE

 

SETTIMIO SEVERO CONQUISTA CTESIFONTE

(Erodiano, op. cit. lib. III)

 

Dopo aver dimorato in Roma per qualche tempo e chiamati i figliuoli a far parte dell’impero, Severo, riflettendo che doveva la propria fama soltanto alle guerre civili per le quali aveva ricusato il trionfo, determinò di acquistar gloria con la rovina dei barbari. Perciò, col pretesto di vendicarsi di Barsenio re degli Atreni che aveva seguito la parte di Negro, condusse l’esercito in oriente ed era già per invadere l’Armenia quando sopraggiunsero messi di quel re che, dati ostaggi e doni, chiedeva come grazia di stringer seco amicizia e alleanza. Severo, vedendosi secondato dalla fortuna, si volse agli Atreni,…e assediò la città di Atra posta su un monte altissimo, cinta di grosse e fortissime mura e  difesa da un gran numero di abilissimi arcieri.

 

Con grande valore l’esercito di Severo batteva questa città e con ogni specie di macchine tempestava quelle mura, nulla omettendo che potesse affrettarne la resa. Dall’altra parte gli Atreni difendevano coraggiosamente la città scagliando dall’alto sassi e saette, facevano grande strage dei Severiani, sopra i quali gettavano anche vasi di argilla ripieni di certe bestiole venefiche che, o vibrandosi agli occhi o ferendo le parti aperte del corpo, recavano loro grandissimo affanno. E già le malattie prodotte dall’ardente sole di quel clima torrido facevano più strage di romani che  il ferro dei nemici. Così, essendo tutti logori e malconci, e mal riuscendo l’assedio, nel quale vi era ormai più da perdere che da guadagnare, Severo si determinò a levare il campo prima che gli accadesse di lasciarvi tutto l’esercito….

 

Ma presto la fortuna favorevole sciolse i romani da ogni tristezza, accordando loro una vittoria maggiore di quella che avevano vagheggiata. Messisi in acqua e tentando di dirigersi alle rive romane, furono dall’impeto delle onde e dal vento furioso  che spirava avverso sospinti nel Paese dei Parti non molto lungi da Ctesifonte, capitale del regno. Quel re se ne stava sicuro e tranquillo, non sospettando affatto che la guerra di Severo contro gli Atreni avesse a recargli la minima   molestia: e perciò non si preoccupava di prendere alcun partito, come persona lontana da timori. Ma l’esercito di Severo, sospinto  dalla corrente prese terra e scorrendo impetuoso i villaggi, ogni cosa predava; e dopo che li ebbe arsi e distrutti, sempre avanzando, pervenne alla città regale di Ctesifonte, dove dimorava il gran re Artabano. Quivi trovati quei barbari impreparati fece a pezzi quanti opposero resistenza e, desolata la città, trasse in schiavitù donne e fanciulli. Solo il re scampò con alcuni cavalli ma i tesori, gli arredi ed altre ricche suppellettili furono preda del vincitore il quale più alla fortuna  che a se stesso dovette si bella vittoria. Dopo questi successi, Severo inviò al Senato e al popolo romano lettere nelle quali magnificava le proprie gesta, unendovi tavole dipinte dov’erano descritte le battaglie e le sue vittorie. Il senato gli decretò grandissimi onori, soprannominandolo coi nomi delle nazioni debellate.

 

 

PERTINACE, SALVIO GIULIANO, SETTIMIO SEVERO

(Eutropio, Breviari, VIII, 16-19)

 

Gli successe Pertinace, ormai vecchio e quasi settuagenario. Era prefetto di Roma quando per decreto del Senato assunse la carica. Dopo 80 giorni di regno fu ucciso durante una sommossa di pretoriani per la colpevole azione di Giuliano.

 

Dopo costui usurpò il trono Salvio Giuliano, uomo nobile ed esperto giureconsulto, nipote di quel Salvio Giuliano che, al tempo di Adriano aveva stilato l’Editto perpetuo. Fu battuto da Severo presso Ponte Milvio e poi venne ucciso a palazzo. Il suo potere durò sette mesi soltanto.

 

Dopo di lui salì al potere Settimio Severo, nato in Africa, ed esattamente a Lebda, nella provincia tripolitana. A nostra memoria fu l’unico imperatore di origine africana. In un primo tempo fu avvocato del fisco, poi tribuno militare, e ricoprendo successivamente molte cariche, assunse infine l’amministrazione di tutto l’impero. Volle essere chiamato Pertinace in ricordo di quel Pertinace assassinato da Giuliano. Era estremamente sobrio, ma crudele per istinto. Condusse molte e fortunate guerre; uccise presso Cizico, Prescennio Negro, che aveva guidato una sommossa in Egitto e in Siria; vinse i Parti, gli Arabi delle regioni interne e gli Adiabeni; anzi battè gli Arabi così decisamente che riuscì a costituire in quel paese una provincia. Pertanto fu chiamato Partico, Arabico e Adiabenico.

 

Restaurò molti edifici un po’ ovunque nell’impero. Sotto di lui si fece nominare Cesare, in Gallia, anche Clodio Albino, che aveva favorito Giuliano nell’assassinio di Pertinace; ma fu vinto ed ucciso presso Lione.

 

Oltre che per le imprese guerresche, Severo fu illustre per il suo amore alle opere civili e per la sua erudizione nel campo letterario e filosofico. L’ultima sua spedizione si svolse in Britannia e per fortificare le province così riacquistate, fece costruire un vallo da un mare all’altro, lungo 32 miglia.

 

Morì già vecchio, in Eborace dopo 16 anni e 3 mesi di regno. Fu chiamato divo. Lasciò come successori due figli, Bassiano e Geta, ma volle che a Bassiano fosse dal Senato attribuito il nome di Antonino; fu chiamato dunque Marco Aurelio Antonino Bassiano e successe al padre.

 

Geta, poco dopo, fu fatto morire perché dichiarato nemico pubblico.

 

 

ULTIME PAROLE DI SETTIMIO SEVERO

(Elio Spaziano, Severo I, 7, 23)

 

 

Ci sono in molte città opere insigni di questo principe: Ciò che gli fa anche molto onore è d’avere restaurato in Roma tutti gli edifici che il tempo cominciava a distruggere e di avere conservato dovunque i nomi dei primi fondatori, senza mettere il suo quasi in nessun luogo. Morendo lasciò una scorta di grano per 7 anni…la quantità di olio che lasciò doveva essere sufficiente per 5 anni al consumo di Roma e anche di tutta l’Italia, che ne mancava. Le sue ultime parole furono queste, si dice:”….ho ricevuto lo Stato dovunque agitato; lo lascio in pace, e in più con la Bretagna. Vecchio e malato, rimetto ai miei Antonini un impero solido, se essi sapranno bene regolarsi; vacillante, se essi si condurranno male”.

 

Egli poi fece dare come parola d’ordine al tribuno di servizio la parola “Lavoriamo”, perché  Pertinace, salendo sul trono aveva detto quella “Combattiamo”.