Leptis Magna
Dopo la nostra espulsione, i libici hanno
avuto un merito: quello di continuare gli scavi archeologici non
solo a Leptis Magna ma su tutta la costa della Libia, che è un susseguirsi di siti archeologici d’impronta greca in Cirenaica,
e romana in Tripolitania. Cirene, Sabratha, Apollonia sono tutte
città, un tempo centri importanti di traffici commerciali e
culturali tra i Paesi che si affacciavano sul Mediterraneo; ma
quando si guarda Leptis Magna si percepiscono un lusso e
grandezza, che ne caratterizzarono l’esistenza e che nessuna
altra città possiede. I ritrovamenti più antichi fanno risalire
la città ai Fenici, che ivi fondarono, alla fine del VII secolo
a.C., una loro colonia dedita ai traffici commerciali lungo la
costa nord africana, in un luogo di facile approdo. “Lpqy” fu il
suo primo nome poi ribattezzata dai greci “Lepcis” e infine, con
i romani, Leptis e “Magna” per distinguerla da un’altra città
dallo stesso nome presso Hadrumentum (Sousse) nell’attuale
Tunisia. Dal mare appariva tutta bianca e come un sogno per
tutti coloro che dopo aver attraversato le turbolente Sirti,
trovavano in essa riposo, splendore e opulenza.
Il periodo economicamente più florido,
durante il quale la città raggiunse la sua massima espansione,
fu quello tra il II secolo a.C. e la seconda metà del III secolo
d.c., epoca in cui prosperi commerci permisero la formazione di
immensi patrimoni che trasformarono i magnati locali in
illuminati mecenati che si prodigarono all’abbellimento della
loro patria. Leptis divenne una città di marmo e ancor oggi le
sue rovine sono di un lusso che raramente si incontra al di
fuori di Roma o di Atene. Una città ricca che continuava ad
arricchirsi e ad abbellirsi, grazie alle opere edili ed ai
monumenti che ad essa riservò l’imperatore Settimio Severo,
cittadino di Leptis .
Il nucleo primitivo e centrale di Leptis
era il porto, anima dell’economia cittadina, e facile approdo
che non richiedeva molta manutenzione perché l´Uadi Lebda aveva
scavato sulla spiaggia una comoda insenatura, e alcuni scogli,
posti a non molta distanza dalla costa, spezzavano la furia
delle onde.
Questa tranquilla e prospera vita venne
ad un tratto bruscamente compromessa da un maldestro tentativo
di migliorare il porto. In epoca neroniana si pensò di
proteggere meglio le navi creando un “pennello” che chiudesse
l’estremità occidentale dell’insenatura, senza calcolare che
questo “pennello” avrebbe sbarrato proprio lo sbocco dell´Uadi.
Infatti, l´impetuoso torrente cominciò subito a depositarvi
contro la rossa e fine sabbia del deserto, il silt che l’acqua
trascinava con sé.
A complicare la situazione, si pensò poi
di unire lo scoglio più orientale con la terraferma. Il
risultato dei due interventi fu di escludere dal bacino le
benefiche correnti che, provenendo da oriente, spazzavano
continuamente la rada e impedivano alla sabbia di accumularsi.
Un secolo dopo, quando Settimio Severo divenne imperatore, volle
rifare il porto apportandovi altri lavori ma senza risultati. E
pensare che per rimettere in funzione l’approdo di Leptis
sarebbe bastato distruggere il “pennello” neroniano ed il molo
che ad oriente congiungeva lo scoglio con la costa, riportando
l’approdo al suo stato originale.
Adiacente al Porto, sorgeva
il
Foro Vecchio anch’ esso facente parte del primo nucleo della
città. Qui, attraccavano le barche dei mercanti che si dovevano
rifornire di acqua e viveri; qui essi passavano le ore a
litigare sui prezzi con i capi carovana e qui la popolazione
locale si riuniva per discutere delle più varie questioni
riguardanti la loro comunità.
Nel Foro Vecchio, in epoca
giulio-claudia, i leptitani più abbienti, costruirono i primi
templi arricchiti di colonne di marmo dedicati alle divinità
protettrici della città: Ercole e Liber Pater e si continuò a
costruire altri due templi flavi, probabilmente dedicati uno a
Iside e l´altro a Cibale. Persino Settimio Severo, vi lasciò il
proprio ricordo sistemando nella piazza una panchina
semicircolare, sul cui schienale si ergevano le statue di lui e
dei suoi familiari: Settimio Severo, Giulia Domna, Caracalla e
Geta.
A partire dal I secolo a.C.,
Leptis si arricchì di monumenti ed edifici pubblici. In quel
primo periodo, a intervenire fu soprattutto l´edilizia privata,
che, finanziata dai maggiorenti leptitani, si dedicò
all´abbellimento della città. Tra questi si distinsero i membri
della potente famiglia dei Tapapi, spesso menzionati nelle
epigrafi dell´epoca. Hannobal Tapapius Rufus, figlio di Himilco,
tra il 9 e l´8 a.C inaugurò uno dei più bei mercati
dell´antichità; una costruzione architettonicamente funzionale
ed esteticamente piacevole.
Il mercato si presentava come un rotonda
con 4 portici e intorno ai quali erano disposti i banconi sui
quali si esponevano i vari prodotti. Come sempre, il mercato non
era stato soltanto un luogo dove comprare al volo qualcosa da
cucinare ma anche come luogo di incontro e di ozio.
(mercato,
ricostruzione al computer)
Oltre al Mercato, Hannobal Tapapius
Rufus figlio di Himilco commissionò lo splendido teatro, uno dei
primi del mondo romano, e secondo soltanto a quello di Pompei.
Anno dopo anno Leptis si era trasformata
in una città che poteva stare al passo con le più belle della
costa mediterranea e fu proprio sotto il proconsole Taberio
Flavino che l´edilizia statale costruì un’opera di grandissimo
effetto e unico nel suo genere: un anfiteatro che, invece di
ergersi alto sul terreno come gli altri sparsi nell’impero
romano, sprofondava nelle viscere della terra.
La fine del I secolo d.C. fu un periodo
di stasi per l´edilizia; i potenti mercanti e gli armatori che
fino ad allora avevano fatto a gara per abbellire la città se ne
disinteressarono completamente. Da allora l´attività edilizia
destinata ai cittadini di Leptis venne sostenuta dallo stato. Fu
in questo periodo che Adriano, costruì le sue grandi terme cui
si accedeva per due ingressi.
Bagni ricostruiti in computer
Le ville costiere
Anche dopo la nostra espulsione, gli
scavi archeologici continuarono a riportare alla luce altre
parti di Leptis che erano rimaste insabbiate e cosí si scoprì
che appena fuori dalla città, verso ovest, in una località
chiamata Silin, i ricchi mercanti avevano costruito le loro
ville, munite di approdi a nord e di terreni agricoli a sud,
vicino ad una falda acquifera. Tutte queste residenze marittime
o stazioni commerciali, avevano in comune la caratteristica di
possedere ognuna un paio di buoni e sicuri ancoraggi in modo che
le navi potessero sempre ormeggiarsi sottovento, scegliendo
l´ancoraggio ad occidente quando soffiavano i venti di levante e
grecale, riparando in quello ad Oriente quando tiravano ponente
o maestrale.
Tra le ville meglio conservate di Silin,
ce n´è una detta dell´Odeon Marittimo che doveva essere stata
una dimora importante e dotata di terme private. Ma, a parte la
loro bellezza, le ville erano comode e piacevoli e ben studiate
per essere adattate al clima della zona, piuttosto caldo.
Il primo colpo di grazia ai centri di
Silin lo diede l´invasione degli Austuriani, barbari
dell´entroterra che saccheggiarono e devastarono le campagne; ma
fu la caduta dell´impero romano che determinò l´abbandono
definitivo delle residenze costiere occupate definitivamente
dalle tribu dell´interno la cui civiltá era ancora quella della
pietra, perché sono state ritrovate, accanto a raffinata
ceramica, punte di frecce e arnesi di pietre.
Dopo i Vandali, Leptis si rinchiuse in se
stessa e la sua gente, arroccata nelle mura, tirò avanti ancora
un po’ anche se i grandi armatori avevano lasciato da tempo la
cittá per andare ad impiantare altrove i loro commerci.
Alla fine del V secolo d.C., Leptis Magna
non esisteva più e le residenze marittime erano, ormai,
praticamente rase al suolo. Quando nel VII secolo d.C.,
arrivarono gli Arabi, trovarono colei che era stata una
scintillante e ricchissima cittá semicoperta dalle dune le cui
statue, che affioravano dalla sabbia, sembravano proprio dei
fantasmi. E, ironia della sorte, furono proprio queste spettrali
figure a tenere lontani i predatori.