PETALI DI ROSA
Mentre il mondo brucia e io aspetto un ebreo che non arriva, ritengo doveroso mangiarmi dei petali di rosa fritti.
Prepara una pastella diluendo un cucchiaino di lievito di birra disidratato in 1,5 dl di acqua e aggiungi 120 grammi di farina e un pizzico di sale.
Mescola bene fino a che sia liscia ed omogenea.
Aggiungi mescolando delicatamente un albume montato a neve soda.
Prendi i petali di tre rose fresche, e stai attento che non siano
trattate con qualche antiparassitario, lavali delicatamente sotto un filo di acqua fresca.
Asciugali e tuffali uno ad uno nella pastella.
Sgocciolali bene e rituffali nell'olio bollente, quando sono dorati ripescali e appoggiali a della carta assorbente.
Spolverali con sale o con zucchero , a secondo dell'umore che ti ritrovi.
Mangiali pensando alla Cirenaica o alle montagne del Gebel, a Zavia o a Zanzur, All'Amrus di Sul el Giuma o a Kussabat.
Un sorso di passito fresco e secco, e ricorda quando nel Giugno del '67 fosti costretto a soffrirne le spine ora chi ti può negarne i petali.
Dov'era casa tua allora, quale vista dalla tua finestra, quali odori
nella via, quando capisti che abitavi dentro Daniel,
la luna di Tripoli quanto
è grande, quanto sembravano vicine le voci all'imbrunire, quanto era
tiepida la notte e le rose che profumo avevano.
Quanta ne è rimasta di Africa nelle tue mani, e nel tuo naso, nei tuoi occhi, nelle tue orecchie ... quanto nel tuo palato?
Fai pure con calma, io sono sempre qui che aspetto un ebreo che non
arriva e intanto mi mangio la sbrisolona che gli avevo preparato ...
peggio per lui!
Lui con tutto il suo sole e il suo caldo cosa cazzo centra con le mie nebbie fredde, eppure sono qui che lo aspetto.
Quando arriverà forse non avrò nulla da dirgli.
Ascolterò.
la luna era grande,ma il cielo era molto basso. Oh, si, era
eccezionalmente basso. Io vivevo li, e come facevo a sapere che il mio cielo era basso.
Ma un giorno, una delle tante volte che Mamì, la mia nonna, ci veniva a trovare da Marsiglia, me lo disse. Io avevo quattordici anni, e la stavo ad
ascoltare meravigliato. Mamì mi diceva che il nostro cielo era molto basso, blu e basso. Più basso ancora di quello di Costantinopoli (poverina, lei la chiamava ancora così, poichè diventò Istambul quando già l'aveva lasciata.)
Fu così, che l'anno dopo, arrivato coi miei in Italia, la prima cosa che controllai fu l'altezza del cielo. Aveva ragione lei. Da noi era così
basso perché era blu scuro. Quello si che era un cielo.
Vuoi sapere cosa mi è rimasto, sottocute, dell'Africa?
Il mare ed il cielo. Tutto il resto che vada a farsi fottere, ma quel mare me lo hanno tolto, ed era mio.
Dove cazzo hai preso quei nomi? Zavia, Zanzur e poi l'Amrus! Che ne sai, tu dell'Amrus? Mi hai fatto risvegliare sensazioni sopite da quarantanni,
con quella parola! E poi, Suk el Giuma, il mercato del venerdi! Oh caspita!
Avevo tredici anni, ero ricoverato nella clinica del professor
Onorato, per una operazione di appendicite molto complicata. Ci stetti due
settimane. La clinica era in una strada commerciale affollata, non come dove
abitavamo noi. Era il mese di Ramadan. Faceva caldo e la finestra era aperta. Tutta
la notte gli arabi, là sotto, facevano baldoria, mangiavano,
festeggiavano e mangiavano tutta la notte, poiché il giorno dopo dovevano digiunare. Ogni due per tre il muezzin ricominciava a leggere versetti dal Corano, da quel benedetto altoparlante.
Le radioline , e radiolone, a tutto spiano con quella musica araba monotona. Ah, lo sai perchè la musica araba
è così monotona? Perchè hanno solo tre note, non sette come noi.
Non riuscivo a prendere sonno. Che angoscia! Anzi, a dire il vero ora
provo angoscia, allora era tutto normale, quella era la normalità.
Ma ancora oggi,quando sento quella musica che mi assale all'improvviso, inaspettatamente, rivivo quei momenti,gli odori pungenti, ma su tutto l'odore acre e insopportabile della mantecca ( il burro di cammella) che usano per friggere.
Ed il rumore della baldoria disordinata che facevano,quelle notti. Coi bambini che
correvano e piangevano, alle due di notte. E le risate
crasse, i rutti, gli insulti e le maledizioni in arabo, tutta la notte, per quindici notti...Che incubo, Toni...
Un astio represso, un rancore sordo che mi accompagnerà per sempre.
Vuoi sapere cosa è rimasto in me, dell'Africa? questo, ed altro.
L'inebriante odore dei gelsomini, le splendide serate al Uaddan, con
Peppino di Capri, che stette lì per due settimane, sempre con noi, altre amenità di questo genere? Tutto dimenticato. Tutto rinunciabile. Ho trovato di meglio, poi, nella vita. Vuoi mettere le serate a Capri, in
primavera?
Un pomeriggio a Sasolito, a San Francisco? Le serate passate insieme
all'isola d'Elba? Il mondo e la vita mi hanno dato molto di più. Mi hanno gratificato e ricompensato mille volte di più. Un tramonto o un'alba prospicente la città vecchia a Gerusalemme? una serata con te ad Acco?
Una passeggiata con Hod sulla Muraglia Cinese?
Solo odio, solo rabbia, se ci penso. Milletrecento anni ininterrotti a Tripoli, mio padre uno dei maggiori industriali del Paese che applicava
il socialismo nella sua Azienda. Non sapevano nulla, i libici, negli anni sessanta, delle conquiste occidentali dei sindacati di categoria. Ma mio padre dava loro ferie pagate, pagava lo stipendio a circa dieci operai il cui solo compito era di fare tutto il giorno, ognuno in un reparto della fabbrica, il te per gli altri operai. Perchè, si, loro amano molto bere
lo SCIAI, il te appunto. E tante altre amenità del genere. Però su passaporto stampigliato IL numero..,cioè ebreo libico n..., dimodochè, appena un poliziotto ti controllava i documenti si sentiva autorizzato a mollarti
un ceffone, perché appunto tu eri un ebreo libico numero così e così. E niente libertà di parola, per noi, di assembramento, mai oltre cinque persone, altrimenti era una manifestazione facinorosa.
Potrei andare
avanti tutta la notte. E poi? Un giorno un calcio nel sedere, espropriazione di tutti i beni, e via.
Vuoi sapere ancora cosa mi è rimasto sotto la cute, di Tripoli? Quando tornavo a casa sul tardi, se mi beccavano rimediavo una bella fraccata di legnate, non fa niente se avevi solo quattordici o quindici anni.
Il mare blu e verde, dove andavo a caccia subacquea in apnea, con Angelo Furgeri. Il cielo basso, molto basso, come diceva Mamì, quelli li vedo sempre, non mi lasciano mai
Se per disavventura tornassi un giorno in quei posti, il mare sarà
sporco ed il cielo svedese, bianco e altissimo. Perchè, dicono in inglese, you can never go home again.
Dani
AVVISO SUL COPYRIGHT
1.1 Questo sito contiene materiale protetto da
copyright, materiale protetto da altri diritti di proprietà
intellettuale (come marchi registrati, diritti sui database, diritti
tipografici) e materiale che è di proprietà in altro modo della
zeriba.net o dei nostri concessionari.
1.2 non E’ consentito scaricare informazioni e materiale dal sito solo per uso personale, non commerciale. Ogni altro uso di qualsiasi materiale (inclusi, senza limitazioni, fotografie, articoli, recensioni, software, commenti, tavole o carte, video clip, loghi di terzi) su questo sito è strettamente proibito. A mezzo illustrazione la proibizione all’uso può includere l’estrazione, l’emendamento, la ridistribuzione, la ripubblicazione, la modifica, la trasmissione, la vendita o qualsiasi altro modo per rendere disponibile ogni informazione e materiale di questo sito a terzi (in qualsiasi formato). In aggiunta a tali restrizioni ci si deve attenere a tutti gli avvisi sul copyright, alle informazioni o restrizioni contenute in qualsiasi materiale a cui si ha l’accesso tramite questo sito. 1.3 L’utilizzo non autorizzato di questo sito o di qualsiasi informazione o materiale in esso contenuto è illegale e in quanto tale può dare origine, tra le altre cose, ad una richiesta di risarcimento danni e può costituire anche un’infrazione penale. |