Raffaele Brignone detto Antonio
LA VALIGIA DEI RICORDI
Com’eravamo
Vita, ricordi, storie e riflessioni
di un sessantenne.
L’infanzia vissuta a Tripoli di Libia,
negli anni 50/60
seguente annessione della Libia ex
colonia turca, all’Italia. La madre,
Vita Ricotta, vide la luce a Tunisi.
I suoi genitori Luciano Ricotta e Teresa
Girolamo, erano nati anche loro
a Tunisi, figli d’emigranti siciliani.
Raffaele si trova spesso in compagnia
del padre Rosario commerciante in
mobili, che fu il primo italiano in Libia
ad iniziare l’importazione di prodotti
del legno, mobili ed accessori
italiani. Per quest’iniziativa, la sua
azienda fu insignita, dall’ambasciata
italiana, del titolo “Premiato Mobilificio
di Rosario Brignone”.
Nonno Raffaele, giunto in Libia, inizia
un’attività di lavorazione del legno.
Nel suo laboratorio si trasformano
tronchi di legno in tavole ed assi
per l’edilizia e si producono arredi.
Il suo laboratorio è nella città vecchia
vicino alla Chiesa di Santa Maria
degli Angeli. Nel dopo guerra fu
trasformato in chiesa ortodossa. I figli,
Salvatore, Vincenzo e Rosario
studiano presso la vicina scuola dei
Fratelli Cristiani. Terminato il conflitto
della seconda guerra mondiale,
nonno Raffaele con i figli Salvatore,
Vincenzo e Gina, tutti sposati a Tripoli,
tornano in Italia. A Tripoli resta
solo Rosario.
Raffaele frequenta l’asilo e la primina
presso le Suore Giuseppine nella
Città Vecchia; le scuole elementari,
dove riceve ogni anno premi al merito
di studio, e le medie presso l’Istituto
dei Fratelli Cristiani.
Si diploma come geometra presso l’Istituto
G. Marconi, nel 1968. Lo studio
non lo interessa molto, studiare il
minimo ed ottenere il sufficiente risultato
è il suo approccio alla scuola.
Lo sport, la musica, sono cose che lo
attraggono di più, (vedi, il primo diario
in cui racconta la sua avventura
nel mondo musicale tripolino).
Organizzare feste ed animarle è
un’altra delle sue prerogative, per
questo è molto ricercato tra i giovani
della comunità italiana di Tripoli, negli
anni ‘60.
Nel 1967, è tra gli organizzatori del
primo ed unico sciopero studentesco
della storia dei giovani studenti italiani
in Libia. Si organizzò un corteo
di protesta per la riforma scolastica,
sull’esempio delle agitazioni studentesche
italiane ed europee. Il corteo
fu interrotto dall’intervento della polizia
poco prima di arrivare all’Ambasciata
Italiana, dove una delegazione
di studenti avrebbe chiesto
udienza all’Ambasciatore e spiegato
i motivi della protesta. L’intervento
della polizia mise fine alla manifestazione
non autorizzata e vietata dalle
leggi locali ai cittadini stranieri.
Grazie alla mediazione delle autorità
consolari e dell’Ambasciata non ci
furono conseguenze punitive. In seguito,
tra il 1980 e il 2004, svolgerà
l’attività di sindacalista, in un sindacato
apolitico, con una carriera che
lo porterà dalla carica di segretario
provinciale a quella di responsabile
Note sull’autore
e la famiglia Brignone
Raffaele Brignone, terzo figlio ed
unico maschio della famiglia, nasce
a Tripoli di Libia, il nove luglio del
1948 dal matrimonio tra, Rosario
Brignone e Vita Ricotta, uniti in matrimonio
nel 1942, mentre Tripoli era
bombardata.
Il padre Rosario era nato a Lampedusa,
nel 1911, dal matrimonio tra
Raffaele Brignone e Giuseppina d’Amore.
Alla tenera età di diciotto mesi,
papà Rosario, con gli altri due fratelli
ed una sorella, emigrarono in Libia,
nonno Raffaele, rimasto vedovo,
decise tentare l’avventura nella nuova
colonia, la Libia, portando con sé
tutti i componenti della famiglia.
I Brignone furono tra le prime famiglie
italiane a stabilirsi in Libia, nel
1912, dopo il conflitto italo-turco e la
Come si viveva da bambini
negli anni ‘50
- storie e ricordi -
Raffaele, in compagnia del padre,allo stadio
1954 - I coniugi Brignone, con i figli:
Teresa, Raffaele-Antonio,
Giuseppina (Nuccia)
regionale e per un decennio consigliere
nazionale.
Raffaele, ma da alcuni è chiamato
Antonio, perché, nel meridione, è tradizione
chiamare il primo maschio,
con il nome del padre. Papà Rosario
ebbe inizialmente due femmine che
delusero il suo desiderio di tramandare
il nome di suo padre. Durante la
gravidanza del terzo figlio, si ripromise
di chiamarlo, se maschio, come
il nonno.
La madre, devota a S. Antonio, fece il
voto di chiamare il nascituro Antonio,
se il parto avesse avuto un buon
esito. Non era raro avere difficoltà
nel parto in quel periodo e la mortalità
tra i neonati era alquanto elevata.
Non appena venne alla luce, maschio
finalmente! papà Rosario al
colmo della felicità, corse in comune
per denunciarne la nascita e registrarlo
col nome Raffaele. Tornato a
casa, informò la moglie dell’avvenuta
registrazione della nascita del
bimbo con il nome Raffaele, ma la
moglie, a sua volta, lo informò del
voto fatto. La soluzione-compromesso
fu che il bimbo fu battezzato con il
nome di Antonio Raffaele, e, all’anagrafe
al nome di Raffaele fu unito Antonio.
In casa tutti lo chiamavano Antonio,
o Nini, come tutti gli amici ed i
parenti.
Con la scuola venne fuori il nome ufficiale,
Raffaele. I compagni di scuola
che non frequentavano casa Brignone
lo chiamavano Raffaele, quelli
più intimi, Antoni
Con la mamma casalinga
Tornando indietro con la memoria, il
primo ricordo che mi balza nella
mente è la famiglia, le mamme casalinghe,
e l’importanza del ruolo che
ricoprivano. Ai tempi della mia infanzia
ed adolescenza, in famiglia lavorava
solo il capofamiglia ed i figli
più grandi. Le mogli stavano in casa
per riordinarla, preparare i pasti, accudire
ai figli.
Questa situazione sociale creava tra i
vicini rapporti di familiarità. Era
l’occasione per fare quattro chiacchiere
sull’uscio di casa, scambiarsi
qualche confidenza o chiedere notizie
sulla salute dei familiari, richiedere
qualche ingrediente mancante
per poter portare a termine il pranzo,
o richiedere la classica tazzina di
zucchero o di caffè ...
Socializzare era una prerogativa essenziale
della vita quotidiana.
Oggi, purtroppo, non li conosciamo i
nostri vicini di casa, qualche saluto
frettoloso, un buongiorno o buonasera,
mentre di corsa si esce da casa,
per correre al lavoro, a portare i figli
in palestra o per altri impegni.
Le case, durante il giorno, sono deserte,
entrambi i coniugi lavorano. I
bambini piccoli sono “depositati”
nell’asilo nido. Si pranza nelle mense,
nei fast-food.
Il classico pranzo di mezzogiorno
con tutti i familiari attorno al desco,
è quasi scomparso, non si usa più; le
nuove abitudini e le false necessità
hanno soppresso questo magico momento
d’incontro, quando tutta la famiglia
era raccolta attorno al tavolo
per il pranzo, chiamato convenzionalmente
pranzo di mezzogiorno, un
momento di forte unione familiare.
I genitori chiedevano ai figli:
- Com’è andata oggi a scuola? cosa
hai fatto? sei stato interrogato? …
Tutti si rendevano partecipi dei problemi
degli altri familiari.
I consigli dei genitori erano l’essenza
di quel momento di comunione.
Stare insieme, genitori, figli, nonni,
raccontarsi come si era trascorsa la
mattinata, era un momento meraviglioso.
Noi bambini eravamo curati, seguiti
dalla mamma casalinga, coccolati
dai nonni che ci raccontavano le loro
storie, la trascorsa giovinezza, iniziando
sempre con le parole:
- Ai miei tempi ...
Nei periodi liberi da impegni scolastici,
i bambini s’incontravano tra loro
per giocare insieme, crescere condividendo
le prime esperienze della
vita. I bambini d’oggi s’incontrano
con i video giochi, crescendo spesso
soli o in compagnia delle baby-sitter,
persone estranee alla famiglia, senza
condividere la loro infanzia con altri
della stessa età. La televisione è la
tecnologica baby-sitter. I nonni sono
affidati alle badanti, quasi allontanati
dal nucleo familiare.
Le fatue necessità, hanno soppresso
l’unità familiare; avere sempre più di
quello che si ha è considerato un bisogno
impellente e tutto a discapito
della semplice, sana, meravigliosa
vita in comunione con i propri familiari.
Oggi il superfluo è considerato essenziale.
Allora il superfluo non era
presente, né si sapeva cosa fosse; per
questo motivo, oggi, entrambi i genitori
devono lavorare, affinché in casa
entrino più soldi per acquistare più
cose superflue.
La pubblicità, presente ovunque, regola
gli acquisti, facendo apparire
tutto ciò che è superfluo necessario e
vitale.
Il nostro superfluo potrebbe essere
vitale per altra gente, per altri popoli
che non hanno nulla, ma la corsa, ad
avere sempre di più, ha inaridito
molte anime.
,
Negli anni cinquanta, l’inquinamento
atmosferico era inesistente. Poche
le auto in circolazione, i mezzi più
usati erano le biciclette, qualche motorino,
le prime lambrette, le carrozzelle
con il cavallo.
Autorevoli scienziati, affermano che
l’attuale inquinamento è provocato
anche dai gas contenuti nelle bombolette
spray, e sono i maggiori responsabili
del buco dell’ozono. Negli anni
50? La plastica non esisteva, poco
smog, nessuna bomboletta spray.
Per gli insetticidi o altri liquidi che
dovevano essere spruzzati, si usavano
moderni strumenti fatti di latta,
comunemente chiamati pompette per
il Flit, marca di un noto insetticida
Qualcuno ricorderà ancora il ritornello:
Ammazza la vecchia col flit, e
se non muore col gas
.Vecchia Romagna Buton!
Con l’avvento degli anni ‘60, iniziò il
cambiamento. Il traffico automobilistico
si fece più intenso, e nel 1958
mio padre cambiò la sua topolino
con una Hillman e con questa, imbarcati
su una nave, partimmo per il nostro
primo viaggio familiare in Italia.
L’Italia
All’età di 10
Le zerbute
I giocattoli erano semplici, spesso artigianali,
come le zerbute, trottole ricavate
da un pezzo di legno tornito a
cono. Per farle ruotare, era sufficiente
un semplice pezzo di spago.
anni, misi piede,
per la prima
1957
Carosello
l’ultima frontiera
dell’infanzia
La pista
Il gioco della pista. Si poteva giocare
con più mezzi: i tappi delle bottiglie
delle bibite, tenuti capovolti, con la
parte interna rivolta verso l’alto si
usavano con il campo di gioco pavimentato;
se il campo era sabbioso, si
costruiva la pista e si usavano le biglie.
Per rendere più interessante il gioco,
all’interno del tappo, s’incollava il
viso di un campione del ciclismo,
Bartali, Coppi, o quello che era considerato
il nostro campione.
La nostra palestra era la strada o i
cortili delle case, dove si poteva giocare
a ruba bandiera, negli spazi più
ampi a nascondino o ai quattro cantoni.
Non servivano grandi tecnologie, la
fantasia e gli spazi aperti erano sufficienti
per giocare insieme, vivere le
nostre esperienze, divertirci con poco,
importante era lo stare insieme.
volta, sul suolo
italiano.
Studiata sui libri
di scuola,
raccontata da
mio padre che
spesso si recava
in patria, finalmente
anch’io
vedevo quello che sino a quel
momento avevo solo immaginato
La cosa che più mi colpì furono le
lunghe distanze.
Circolare in Italia, nel 1958, con
un’automobile di marca straniera,
era oggetto di curiosità e di commenti;
ricordo quelli più comuni: - Sono
arrivati gli americani!- o per la targa
con i numeri arabi:
- Anvedi, s’è squagliata la targa!
L’inizio del cambiamento
Elettrodomestici, frigoriferi, lavatrici,
radioline a transistor, i primi televisori,
divennero oggetti comuni nelle
nostre case: i tempi stavano cambiando,
forse in meglio, maggiori comodità
sicuramente, ma fu il primo
passo verso un mondo meno pulito,
più caotico, più stressante, che ci
avrebbe portato all’attuale inquinamento
e ad una vita più logorante.
A Tripoli, per nostra gran fortuna,
l’inquinamento era inesistente; giungendo
in Italia all’inizio degli anni
‘70, dopo il rimpatrio, iniziammo a
conoscerlo; ora ne siamo sommersi.
Le radioline a transistor, alimentate
con batterie, furono per noi giovani
una grande novità: finalmente, potevamo
seguire i nostri programmi preferiti
e la musica, anche fuori casa.
Tra noi adolescenti iniziò una vera e
propria gara alla ricerca della radiolina
più piccola in commercio. Chi
riusciva a trovarne una poteva vantarsi
con gli amici di possedere la più
piccola radio del mondo, destando
Con l’avvento degli anni ‘60, iniziò
il cambiamento, il traffico automobilistico
si fece più intenso, e nel 1958
mio padre cambiò la sua ‘topolino’
con una Hilman e con questa, imbarcati
su una nave, partimmo per il nostro
primo viaggio familiare in Italia.
Oltre alle radioline,
giunsero poco
dopo i mangiadischi.
Con questo
nuovo ritrovato si
potevano ascoltare
i dischi a 45 giri,
in automobile,
in casa, in campagna,
passeggiando,
e il grande ed
ingombrante giradischi,
collegato
alla radio di casa,
divenne sempre
più dimenticato
così l’invidia degli amici.
Fumetti e giornaletti:
Tex, Nembo Kid,
Corriere dei Piccoli
Il Vittorioso
Giocando sotto il tavolo dove si
pranzava, s’immaginava di essere in
una caverna o in una tenda degli indiani.
Tex Willer era il nostro idolo,
come pure lo erano Batman e Superman,
allora chiamato Nembo Kid.
Le sedie della sala da pranzo, si coricavano
per terra, appoggiandole sullo
schienale e stando seduti sullo
schienale s’immaginava di essere su
di una rombante automobile; se messe
una dietro l’altra erano un treno.
Immancabili Bambole per le bambine
I soldatini erano di piombo, la plastica
non era ancora arrivata, ma esisteva
la celluloide con cui venivano costruite
le bambole per le bambine.
Oltre ai soldatini di piombo vi erano
quelli di carta che si ritagliavano dai
giornalini. La figura aveva alla base
un rettangolo di carta che ripiegato
serviva come base per far rimanere
diritto il personaggio.
pochi giocattoli erano di latta, con
semplici meccanismi. Ricordo, le automobiline,
che strofinate per terra si
caricavano e rilasciandole correvano
per la stanza lanciando scintille.
Io, più che giocare con i giocattoli di
latta, mi divertivo a smontarli per capire
come funzionasse il meccanismo
che permetteva certi movimenti
al giocattolo stesso, suscitando le ire
di mia madre che ogni volta ripeteva:
- Non ti compro più niente, rompi
sempre tutto.
Pistole e fucili, anch’essi di latta, ed
anche questi venivano accuratamente
smontati, per capire il meccanismo
del loro funzionamento.
Solitamente, le pistole ed i fucili li
costruivamo noi bambini, con stecche
di legno, che chiedevamo come
regalo ai falegnami che avevano il
loro laboratorio nelle vicinanze, ed
elastici ricavati da vecchie camere
d’aria tagliate a strisce, qualche chiodo
e mollette di legno per stendere i
panni.
Dopo aver ripiegato in due una striscia
d’elastico ricavata dalla vecchia
camera d’aria, s’inchiodavano le due
estremità alla punta della stecca di legno,
nella parte opposta la molletta
per stendere i panni, tendendo l’elastico
sino alla molletta, si caricava il
proiettile che, solitamente era un
nocciolo di dattero bloccato dalla
molletta, e pronto per essere sparato.
Per ottenere un fucile a ripetizione, si
usavano più elastici e più mollette inchiodate
sui lati liberi della stecca.
I costruttori più bravi, con altri pezzi
di legno, riuscivano a dare alla stecca
una parvenza più reale e simile ad
un fucile o ad una pistola.
Con gli stessi elastici, dopo aver trovato
un piccolo e robusto ramo a forma
di forcella, si costruivano le fionde
per giocare a tiro a segno.
Batti legno
(la lippa)Con una tavoletta di legno, dopo
aver ricavato ad un’estremità un’impugnatura,
ed un altro piccolo pezzo
di legno con le estremità tagliate a
punta come le matite blu e rosse dei
nostri maestri, si giocava a
Batti Legno.Il gioco consisteva nel cercare
di sollevare la matita colpendola nella
parte appuntita: questa si sollevava
da terra per alcune decine di centimetri
e la si colpiva al volo cercando
di mandarla il più lontano possibile,
era il nostro baseball.
Le figurine
Le figurine dei calciatori, non ricordo
dove si compravano o si trovavano.
S’incollavano nei rispettivi album
per completarne la raccolta.
I doppioni si scambiavano con quelle
più rare pretendendo però, più figurine
in cambio. Ancora oggi come
negli anni ‘50 sono oggetto di raccolte,
ma allora erano un vero e proprio
mezzo per vari giochi.
Con le figurine si giocava a
‘soffio’.Il gioco consisteva nel mettere le figurine
in palio una sopra l’altra; il
mazzetto si poneva sul davanzale di
una finestra o su un gradino con la figura
rivolta verso il basso; chi vinceva
a pari o dispari aveva il diritto a
soffiare per primo. Con un soffio potente
si cercava di capovolgere le
carte, quelle che dopo il soffio rimanevano
capovolte, erano vinte.
Con le figurine, oltre che a “soffio”,
si giocava anche a
‘batti muro’. Perquesto gioco non servivano davanzali
o gradini ma una semplice parete
dove si appoggiava il mazzetto delle
figurine e si lasciavano cadere: quelle
che cadendo si capovolgevano,erano vinte.
La televisione, per nostra gran fortuna, non
aveva fatto ancora il suo ingresso ufficiale
nelle case; poche le famiglie che negli anni
‘50 la possedevano
LA RADIO
La radio era, negli anni ‘50, l’elettrodomestico
più diffuso nelle case, solitamente
ad essa era incorporato anche
un giradischi, i dischi erano quelli
a 78 giri, grandi piatti neri con le
copertine di carta paglia ed un’etichetta
al centro del disco che mostrava
il nome del produttore; il più famoso,
La Voce del Padrone
, avevacome simbolo un cagnolino accovacciato
accanto ad un antico altoparlante
a cono
In casa Brignone era presente una
grossa radio, o forse mi sembrava
grande in quanto io ero molto piccolo,
ma la ricordo molto bene. Era formata
da un gran mobile. Nella parte
inferiore una griglia di legno con un
tessuto forato nascondeva gli altoparlanti;
al disopra, la radio con le
sue manopole per il volume e la ricerca
delle stazioni. Completava la
pila il giradischi, coperto da uno
sportello a ribalta.
Sui lati, completavano il mobile, due
vani con gli sportelli curvi, uno attrezzato
per custodire i dischi, l’altro
con le pareti ricoperte di piccoli
specchi uniti tra loro, per le bottiglie
di liquore ed i bicchieri di cristallo.
Una piccola luce si accendeva aprendo
lo sportello, luce che si rifletteva
contro gli specchietti interni creando
affascinanti riflessi.
La radio era il mezzo più usato per
seguire i vari programmi radiofonici
italiani, i notiziari, la musica e, la domenica,
le cronache delle partite di
calcio, con l’indimenticabile Nicolò
Carosio ed il suo - quasi goal -.
Mio padre, grande appassionato di
calcio, tifoso della Fiorentina, ed abituale
scommettitore del totocalcio,
seguiva con molta passione la trasmissione,
e alla fine della cronaca
delle partite, al sopraggiungere degli
auguri della Stock 84: - Se la vostra
squadra del cuore ha vinto, brindate
con Stock, se ha perso consolatevi
con Stock! - ripeteva l’abituale frase:
- Per un pelo, non ho fatto tredici!
1957, Carosello.
Dopo Carosello tutti a nanna.
Nell’epoca beata di Carosello, così
lontana dai toni hard di oggi, tutto
era lasciato al segno dell’immaginazione.
E con Carosello vi saluto dandovi un
prossimo appuntamento !
Antonio Raffaele Brignone
Amata terra natia
tu racchiudi
i miei ricordi
come uno scrigno
preziosi gioielli
ma non vi è nulla di più
prezioso
del ricordo
dell’infanzia perduta
I giochi
giocare in casa
giocare in cortile
giocare fuori casa
GIOCARE IN CASA
Giochi e giocattoli
Giocare, con cosa? La fantasia era
l’elemento principale d’ogni gioco e
per inventarne di nuovi. Le letture di
fumetti e di libri per ragazzi aiutavano
a liberare la fantasia e a creare
giochi e trame.
La televisione, per nostra gran fortuna,
non aveva fatto ancora il suo ingresso
ufficiale nelle case: poche le
famiglie che negli anni ‘50 la possedevano,
anche perché il segnale televisivo
italiano inaugurato nel 1954
giungeva molto distorto, e gli unici
programmi che si riuscivano a vedere
erano quelli trasmessi dalla locale
televisione della base americana.
Tra i bambini era molto diffusa la
buona abitudine di leggere.
Libri di fiabe e romanzi per bambini
erano le nostre letture; Salgari con
tutta la serie delle avventure di Sandokan
e storie di pirati; Dumas con i
I tre moschettieri
; l’immancabileCollodi con il suo burattino
Pinocchio,I viaggi di Gulliver
; le fantasticheavventure di
Capitan Nemo, nelprofondo degli abissi a bordo del suo
Nautilus, raccontate da Giulio Verne;
L’isola del tesoro, Il libro della giungla,
Le avventure di Tarzan, L’uomo
scimmia, Robinson Crusoe
.Con l’aiuto della fantasia e dell’immaginazione
s’inventavano trame e
giochi, che ricalcavano i racconti letti.
Un gran fazzoletto ripiegato a striscia,
diveniva una benda da porre
sull’occhio del pirata; due stecche di
legno, una corta ed una lunga, incrociate
tra loro erano le affilate spade
dei pirati o dei moschettieri.
I giochi d’immaginazione iniziavano,
sempre, con la frase:
- ... facciamofinta che tu eri … ed io ero …
Definiti i personaggi immaginari, la
fantasia faceva il suo corso. Spesso
uno dei compagni di giochi si ribellava
in quanto il personaggio assegnatoli
non era di suo gradimento e
tra una disputa ed un compromesso
si riusciva sempre a portare avanti la
storia del gioco alla quale tutti davano
il loro contributo.
Le femminucce solitamente giocavano
alle signore, imitando il comportamento
e le frasi che ascoltavano
dalle mamme. Anche nei loro giochi
vi era una frase canonica iniziale:
- V
ede signora -
Moderno strumento d’aspersione dei liquidi,
notare la scritta: insetticida razzo.
La bicicletta
Possedere un’auto, all’inizio degli
anni 50, era
una prerogativa
di pochi.
Chi possedeva
una bicicletta
o un
motorino si
poteva considerare
un
fortunato
Mio padre possedeva una bicicletta
attrezzata con un piccolo sedile installato
sulla canna e con questo
mezzo e me appollaiato sul piccolo
sedile mi accompagnava all’asilo.
Abitavamo nella zona di Tripoli tra
la Madonna della Guardia e la Fiera;
l’asilo che frequentavo era quello
delle Suore Giuseppine, nella Città
Vecchia, dove mio padre aveva un
piccolo negozio di mobili. Al mattino,
quando si recava a lavorare, mi
metteva sul sedile posto sulla canna e
mi portava all’asilo. Quando chiudeva
il negozio per il pranzo mi veniva
a prendere per portarmi a casa.
Ricordo che una sera mi portò al Lido,
dove si svolgeva una festa, sempre
in bicicletta. Mentre si andava al
Lido, mio padre mi disse: - Guarda il
cielo. Vedi la luna? Ci accompagna
alla festa. In effetti, si aveva l’illusione
ottica che la luna si muovesse
con noi. Dopo poco tempo, papà
comprò la sua prima automobile, una
topolino-giardinetta
, ma da quelgiorno la luna smise di accompagnarci,
forse, offesa di vedere quelle
scatole di metallo con quattro ruote,
percorrere le strade cittadine.
Ricordo che da ragazzini, per personalizzare
le nostre modeste biciclette,
inserivamo tra i raggi di una ruota
un pezzo di cartone, solitamente il
pacchetto vuoto delle sigarette, fermandolo
con una molletta da bucato
alla forcella della bicicletta. I raggi
della ruota urtando contro questo
cartone emettevano un suono simile
al rombo di una motoretta, e noi con
la nostra fantasia pensavamo di viaggiare
in moto, non in bici.
Il caffè
Il caffè era solo in grani, all’acquirente
l’ingrato compito di trasformarlo
in polvere. Questo adempimento
solitamente era affidato ai ragazzini.
Macinino tra le ginocchia, stando seduti
su di una sedia, si procedeva alla
frantumazione dei grani; la polvere
di caffè finiva in un cassettino posto
nella parte inferiore del moderno
marchingegno.
Un giorno, mentre portavo a termine
questo ingrato compito, dissi a mia
madre: - Sono stufo! Non voglio stare
qui a macinare caffè! Voglio andare
a giocare con gli altri bambini.
Mia madre rispose: - L’erba ‘voglio’,
non cresce neanche nel giardino dei
Re. Ai miei tempi, disse, non solo si
macinava il caffè, ma era necessario
anche tostarlo - e andò a prendere in
un ripostiglio un cilindro di metallo
forato, con uno sportellino e ad un’estremità
una manovella. - Con questo
- mi disse - una volta si tostava il
caffè prima di macinarlo. In questo
sportellino, qui si mettevano i chicchi
di caffè, poi si appoggiava sul
fuoco di un kanoun, girandolo di
tanto in tanto per tostare bene tutti i
chicchi.
Il frigorifero
Mantenere freschi i prodotti deperibili
era un problema; il frigorifero,
allora chiamato frigidère, non so perché,
sarebbe arrivato dopo qualche
anno; allora si metteva tutto ciò che il
caldo poteva rovinare, l’acqua e il vino,
in mobiletti foderati al loro interno
di zinco, che avevano una particolare
maniglia per chiuderli ermeticamente.
Questo armadietto era chiamato
La ghiacciaia
Al suo interno, in un angolo si depositava
un blocco di ghiaccio, avvolto
in un panno per ritardarne lo scioglimento
e tutto rimaneva fresco.
Il ghiaccio era venduto per le strade
e trasportato da un carro carico di
lunghi blocchi di ghiaccio; i clienti,
ne chiedevano quanto gliene serviva
ed il trasportatore, spezzandolo dal
blocco, lo consegnava al cliente: chi
poteva, avendo un mezzo di trasporto,
lo andava a ritirare nella fabbrica
del ghiaccio, da tutti chiamata “la
ghiacciaia”.
I supermercati
Oggi è sufficiente andare in un supermercato
o in un centro commerciale
per poter acquistare qualsiasi
cosa, si trova di tutto, dai generi alimentari
all’abbigliamento, ai giocattoli
ed elettrodomestici.
Nei primi anni 50 tutto ciò era inimmaginabile,
ma si viveva con semplicità
e modestia. Oggi i miei figli mi
chiedono come si riuscisse a vivere,
ai nostri tempi, senza la plastica.
La plastica non era stata inventata, e
gli oggetti di vetro erano considerati
non solo utilissimi ma preziosi
Le attuali buste di plastica, presto saranno
tolte dal commercio perché inquinanti,
e saranno sostituite con materiali
compatibili con l’ecosistema
La carta oleata
Tutto quello, o quasi tutto quello che
oggi si acquista in scatola, allora si
comprava a peso, il tonno, le sardine,
le olive, la farina, lo zucchero, il
caffè.
Il negoziante, in una vetrinetta situata
sul bancone di vendita, esponeva
grossi contenitori di latta contenenti
tonno, sardine, concentrato di pomodoro,
olive, formaggi ed altri generi;
alla richiesta del cliente, stendeva
sulla bilancia un foglio di carta oleata
e sopra, a cucchiaiate o a pezzi, deponeva
la quantità di prodotto richiesto.
Cartoccio di carta oleata, simile a
quello della pasta, e tutto finiva nella
sportina di stoffa o di paglia o nella
classica sportina a rete rigorosamente
fatta di spago, del cliente.
Buste di plastica, inquinanti, no!
Materiali ecologici si!
Bilance usate nei negozi di alimentari.
Basculla usate dai venditori ambulanti.
La carta paglia e saponette
Nulla era preconfezionato. La pasta
si comprava a peso e faceva bella
mostra dentro grandi cassetti con un
vetro davanti. Il negoziante stendeva
un foglio di carta paglia sulla bilancia,
sopra metteva la quantità ed il tipo
di pasta richiesta e dopo la pesatura
ne faceva un cartoccio che consegnava
al cliente.
Gli spaghetti non erano perfettamente
dritti, molti ad un’estremità avevano
un mezzo tondo, segno lasciato
dal sostegno dove erano stati stesi
per asciugare.
Mio nonno Luciano mangiava solo
spaghetti. La sua teoria era: la pasta
corta è fatta rimpastando i pezzi di
spaghetto che cadono durante l’essiccazione,
gli spaghetti al contrario
non sono fatti con pasta rimpastata.
Il sapone era venduto a peso; in commercio
si trovavano due tipi di sapone,
uno bianco, più delicato, ed uno
verde, più adatto per il bucato. Le saponette
giunsero poco dopo, pubblicizzate
anche negli intervalli dei film
nei cinema. La pubblicità diceva in
arabo: - al sapun toilet lux - e comparivano
le immagini di Antonella
Lualdi e Rosanna Podestà che s’insaponavano
con le profumate saponette
Le merende
Merendine confezionate, snack.
Conservanti? Aromi artificiali?
Niente di tutto questo, i biscotti fatti
in casa erano una festa; farina zucchero,
uova, poco burro, scorza di limone
grattugiato erano gli ingredienti
poveri ma sani dei nostri dolci
preparati per le occasioni speciali.
La classica merenda era: pane cosparso
con un filo d’olio, un po’ di
sale ed una fetta di pomodoro. L’altra
scelta: pane e burro, cosparso di zucchero.
A scuola si portava, per merenda, il panino
con la frittata, alle gite, pane e cotoletta.
Il Vetro
Da bambino mia madre mi diceva:
- Vai nel negozio dietro l’angolo a
comprare l’olio e un po’ d’aceto -
e mi metteva tra le mani due bottiglie,
una grande ed una più piccola.
Questi due preziosi contenitori di vetro
erano riempiti con olio e aceto dal
negoziante.
Acquistato in damigiane il vino era
imbottigliato manualmente
e le bottiglie chiuse con la tappatrice.
Il vetro era così importante e prezioso
che per le poche cose imbottigliate,
vino, bibite, oltre al prezzo del
prodotto era necessario pagare la
cauzione per il contenitore; su molte
bottiglie, in rilievo, si notava la scritta:
“Vuoto a rendere”
. Oggi: “Nondisperdere nell’ambiente”
.
La merenda fatta in casa era pane e
sugo di pomodoro, sugo che sin dalle
prime ore del mattino era sui fornelli
a cuocere, pomodori freschi;
concentrato di pomodoro, conserva,
barattoli di pomodoro ... non erano
ancora all’orizzonte.
Primeggiavano i panini con tonno e
harisa.